dal racconto di
ROBERTO CAMERANI **
nato a Triuggio (MI) il 9 aprile 1925
deportato politico nei Lager nazisti
Sono nato a Triuggio in Brianza.
Dolce Brianza, tutta colline e boschi, oggi aggredita da colate di cemento.
Allora era mite e silenziosa, mio padre faceva il capostazione, e fu nella piccola stazioncina di Triuggio che mia madre mi partorì. Era un angolo appartato del paese e, per giungervi, bisognava percorrere un bel viale di tigli con a lato una scarpata che, per prati e balze in successione, scendeva a formare la Valle del Lambro. Qui, sul fiume, alcuni cotonifici e serifici operavano allora senza produrre tutto il danno ambientale del quale siamo oggi malinconici testimoni,
mentre dalla sommità delle colline splendide ville dominavano il lavoro delle campagne.
I contadini, all'epoca, costituivano la maggior parte della popolazione: uomini e donne, ed anche i bambini, erano impegnati in un lavoro faticoso e di scarso reddito. La terra, in quella zona, non era generosa. L'acqua deve venire dal cielo, e spessissimo, alla vigilia dei raccolti, la tempesta abbatte ogni cosa ed annulla la fatica e il sudore dei contadini. (...)
Sul dolce e sull'amaro del tempo che scorreva lentamente, sul travaglio degli uomini, sulle sofferenze delle donne e sulle malattie dei bambini, facevano corona al nord le Alpi azzurre e non molto lontane, increspate dalle Grigne e dal Resegone; a sud la pianura verde e fumigante.
Il trenino veniva su sbuffando fra boschi e colline, annunziandosi con le volute del suo vapore e con il fragore della sua sferragliante fatica: forse è stato proprio questo trenino a trasmettermi una certa inquietudine ed un bisogno continuo di andare.
Durante le soste, i macchinisti e i capitreno scambiavano quattro chiacchiere con mio padre, portando le notizie dalla città. Poi dopo un'occhiata all'orologio; “el sciur cap” portava la cornetta di ottone alla bocca e dava i segnale di partenza. Il vapore premeva sugli stantuffi e questi sulle bielle delle ruote rosse ed argento che, slittando sui binari, prendevano l'avvio. Il macchinista mostrava denti bianchissimi nel viso nero di carbone e, con il pugno che stringeva un mazzo di cascami intrisi d'olio, gridando, salutava. Sul ritmo dei giunti di rotaia, l'ultimo vagone spariva dietro la curva del cimitero, portandosi via l'odore del mio treno.
Avevo due anni quando mio padre fu trasferito dalla stazioncina di Triuggio a quella di Villa Raverio, e con lui tutta la famiglia. Anche qui il luogo era delizioso: la stazione si affacciava sopra un pendio che, dopo breve tratto a prati e falsopiano, risaliva dolcemente sul lato opposto lasciando spazio, sul suo profilo, alla chiesa e al campanile aguzzo del borgo di Vergo. (...)
Successivamente la famiglia Camerani si trasferì a Monza e poi ancora a Milano.
Nella metropoli lombarda mio fratello ed io ci trovammo a disagio. Non c'erano più boschi, colline e tutto quell'insieme romantico-rurale fatto di caccia ai nidi, di tirasassi, grilli, lucertole, maggiolini. Così pure mancavano le osterie dove i cacciatori si riunivano a raccontare incredibili storie piene di avventure, costruendo ed alimentando abitudini non mai estinte di fantasticare su cani eccezionali ed enormi carnieri di selvaggina. Le stagioni sfioravano i tetti della città, senza l'alternarsi naturale delle semine e dei raccolti, senza il solleone, il vento, la pioggia, la tempesta: tutte cose desiderate o temute, in campagna, secondo i momenti e le necessità. In città non c'era più la Cascina Campiroldo di Calò, dove ci recavamo a trovare la Rosetta, che dai campi, vedendoci giungere, mandava qualche ragazza di corsa a togliere le sedie belle appese ai muri perché arrivava la “miee del sciur cap”. Scomparso anche il giallo del tarassaco e dei girasoli, il rosso dei papaveri ed il turchese dei fiordalisi. (…)
In città anche la miseria e la ricchezza erano diverse, dissociate dalla natura, i rapporti umani diversi, diversi i giochi dei bambini. Di notte, una volta alla settimana,venivano a lavare le strade: io mi svegliavo al rumore dell'acqua lanciata con gli idranti, e ripensavo ai silenzi di Villa Raverio, interrotti solo dal suono dolcissimo delle sonagliere dei cavalli che venivano su dalla “Riva Bella”, trainando lunghe carovane di carri pieni di paglia e fieno. Lo schioccare delle fruste e gli incitamenti dei cavallanti nella notte erano tutta una musica, per noi. Queste cose in città non c'erano più. (...)
Roberto è residente a Cernusco sul Naviglio(MI), paese di origine della madre, quando, ancora studente, la sera del 18 dicembre 1943, per pensato - ma mai realmente attuato - organizzazione di un gruppo partigiano è arrestato dalla Feldpolizei nazista e rinchiuso, la sera stessa, nel Carcere milanese di San Vittore.
La stessa sorte toccò a Virginio Oriani di sedici anni, poi deceduto a Ebensee, a Pierino Colombo, di ventitrè anni il più anziano della compagnia, che poi morì nel campo di Gusen I immediatamente dopo la liberazione del Lager, a Quinto Calloni, ad Angelo Ratti e a Ennio Sala che come Camerani invece fecero ritorno a casa.
A San Vittore rimane fino alla mattina del 4 marzo del 1944, quando è condotto alla Stazione Centrale di Milano dove - con destinazione Mauthausen - l'attende quello che sarà poi classificato come il trentatreesimo Trasporto partito dall'Italia, diretto nei campi di concentramento e di eliminazione nazisti d'oltralpe.
Il convoglio transita da Verona e, successivamente, nella notte tra il 4 ed il 5 marzo, dal Brennero. Sempre il 5 marzo, raggiunge Innsbruck dove sosta per circa un settimana. Roberto e gli altri suoi 99 “compagni di viaggio”, tra i quali il macheriese Valentino Rivolta ed il triuggese, ma residente a Monza, Giuseppe Vismara, sono provvisoriamente internati nel Lager di Reichenau (campo di transito e di rieducazione per lavoratori) alla periferia della capitale del Tirolo.
Ripreso il viaggio verso oriente, alle 18,00 del 13 marzo, il treno raggiunge infine la stazione di Mauthausen nei pressi di Linz (Alta Austria).
Attraversato il centro della ridente cittadina sulla sponda sinistra del Danubio,
dopo una marcia di alcuni chilometri, talvolta con tratti in forte salita, portando il peso dei propri bagagli, incalzati dai cani pastore delle SS, i cento deportati italiani raggiungono all'imbrunire la fortezza del Konzentrationslager di Mauthausen.
(…) Il fiume scorreva alla nostra sinistra,e a destra si vedeva una serie di collinette coperte di neve. Faceva ormai buio, quando, non distante da noi, comparve un bellissimo cervo: stette un attimo a guardarci attonito, con il suo magnifico trofeo di corna, ed in silenzio sparì,con un balzo elegantissimo. Io lo fissai intensamente, forse intuendo che la vita mi regalava l'ultima immagine di libertà.
Salimmo per un non lungo pendio, alla sommità del quale apparve un muraglione con un grande portone d'ingresso: era il Lager di Mauthausen. Sarebbe diventato per il mondo un simbolo di malvagità, al servizio di un potere deviante. Passammo il portone, che si chiuse alle nostre spalle, per la maggior parte di noi definitivamente (…)
Dopo la spogliazione completa, la registrazione, il sequestro di tutti i beni al seguito, la rasatura totale del corpo, le docce caldissime e gelate, la “conoscenza” dei Kapò e del blocco di quarantena, a Roberto Camerani è assegnato il numero di matricola 57555.
(L'immatricolazione dei deportati del Trasporto arrivato al lager di Mauthausen il 13 marzo 1944 è registrata con i numeri di matricola compresi tra il 57539 e il 57638. A Valentino Rivolta e a Giuseppe Vismara, in seguito entrambi deceduti a Mauthausen, sono assegnate le matricole numero 57619 e 57636, al monzese Libero Casarini ed al muggiorese Primo Nespola, morti ad Ebensee, il 57562 e il 57604, al monzese Capra Livio, deceduto a Gusen, il numero 57560)
Il 9 aprile 1944, giorno del suo compleanno, Roberto Camerani è trasferito con altri 538 deportati nel campo di eliminazione di Ebensee (campo satellite di Mauthausen / Austria superiore) paesino sulle rive del Traunsee, lago prealpino delle Alpi salisburghesi nelle vicinanze di Bad Ischl.
Scendiamo dalla collina, il Lager scompare alle nostre spalle, percorriamo Mauthausen deserta. Alla stazioncina, un trenino con sette od otto vetture ci aspetta. Si mette in moto, ed il viaggio inizia, tra dolcissimi rilievi che vanno rivestendosi di primavera. (…)
Ci appisolammo al rollio ed al tepore del vagone, appoggiandoci l'uno all'altro: sognammo. Il risveglio non fu brutale come avrebbe potuto essere, vista la situazione: anzi, forse mi sembrò la continuazione del sogno, perché adesso il treno saliva tra belle montagne rivestite di foltissime abetaie, costeggiando un lago tranquillo e splendido a vedersi, nel quale le montagne stesse e gli abeti specchiavano le loro masse scure. (…)
Agli occhi di un turista, Ebensee appariva ed appare molto bella. Non certo ai nostri, deportati in quelle baracche, in quella pineta greve d'ombra, con quell'aria fredda e quel profumo di pino misto a odore di catrame e fumo, e l'odore della zuppaccia cucinata a tutte le ore per via dei turni (ndr : di lavoro nelle gallerie scavate sotto la vicina montagna), e il terreno sempre umido, e i prigionieri che lo percorrevano, claudicanti e già distrutti, con le divise lacere e rabberciate in mille modi. (...)
Roberto Camerani, dopo circa tredici mesi di indicibili stenti e di privazioni, quasi infermo ed ormai sul punto di morte, la sera del 6 maggio 1945, dal suo giaciglio all'interno del blocco di eliminazione, non può assistere in prima persona alla liberazione del Lager di Ebensee avvenuta grazie al mirabile intervento dei soldati della F. Company Del 3° Cavalleria Meccanizzata USA comandati dal Capitano Timothy C. Brennan.
Arrivammo a Bad Ischl (…)
Uscimmo dalla cittadina e, pochi chilometri dopo, ci trovammo in una località chiamata Sulzbach: varcammo un bel cancello in ferro battuto, immergendoci in un viale di altissimi abeti, in fondo al quale si apriva un'ampia radura erbosa
piena di sole. In mezzo ad essa, una grande villa a tre piani. I camion si fermarono. Sulle sue scalinate che portavano all'ingresso, erano schierate in bell'ordine numerose infermiere in divisa bianco-azzurra, e tutti i medici.
Era una ex residenza imperiale, trasformata in convalescenziario per feriti tedeschi, ed ora requisita dagli americani. Avevamo percorso in tutto circa venti chilometri (ndr: da Ebensee). Purtroppo, tre compagni giunsero cadaveri: la fatica ed il disagio del viaggio li avevano stroncati.
Le infermiere si avvicinarono, e ci fecero scendere con molta delicatezza: erano commosse, visibilmente emozionate. Stesero delle lenzuola bianche sulle aiuole, all'ombra degli abeti, ed io, sorretto da due “sorelle”, fui posato su uno di essi. La testa arrivò a filo d'erba, vidi le viole e sentii il loro profumo.
Avevo appena lasciato il campo di sterminio con i suoi cumuli di cadaveri, con i suoi orribili odori di morte, di pus, di feci: ne ero ancora tutto impregnato e sporco. Fu così che l'aria, la maestosità degli abeti, il profumo di resina, di erba, di fiori, in un insieme che si stemperava nella luce calda del pomeriggio, mi entrarono dentro con una soavità avvolgente e dolcissima. Fu quello il momento che la natura mi presentò la promessa di poter ancora vivere ed assaporare la vita.
Il nodo che da quindici mesi mi tenevo dentro, tutte le paure, tutti gli orrori visti e vissuti, tutte le vicende, i morti e la morte sempre accanto, si sciolsero di colpo, e scoppiai in un pianto disperato che era gioia e liberazione ad un tempo, preghiera e gratitudine, impegno a non odiare mai ed amare sempre, impegno ad essere sempre uomo in mezzo agli uomini.
Roberto Camerani fa ritorno a Cernusco sul Naviglio il 22 maggio 1945.
Dal luglio 2005 riposa in pace nel camposanto della cittadina sulle rive della Martesana.
Fonti:
i testi sono tratti da :
**Roberto Camerani IL BEL SOGNO Amare dopo lo sterminio. Editrice Monti
Dati biografici :
- Archivio Aned Sezione di Sesto San Giovanni e Monza
- Archivio Progetto Uomini Superflui – Rumori
- Gazzetta Ufficiale – Legge 404 / 1963
- Italo Tibaldi COMPAGNI DI VIAGGIO
Dall'Italia ai lager nazisti. I "trasporti" dei deportati 1943-45
Consiglio regionale del Piemonte, ANED, Franco Angeli Milano 1995
Immagini :
- Archivio Progetto Uomini Superflui / autori: Salvatore Cortese (luoghi dalla mostra Le Vedute Silenti)
- Gianni Casiraghi (R. Camerani a Mauthausen)
Esistono ancora i luoghi citati nel testo? La stazione di Triuggio, la ferrovia, la Cascina Campiroldo di Calò... che bello sarebbe vederli qui, magari in qualche foto d'epoca.
RispondiEliminaLa natura è percepita come la vita, contrapposta alla follia della guerra, del nazismo e del fascismo. Ma se pochi papaveri si vedono ancora qua e là, i fiordalisi non ci sono ormai più. Mettiamo anche la foto di un fiordaliso!
Saluti
Alberto
Vedo che nel racconto di Camerani è nominato il fratello di mio nonno, Libero Casarini, purtroppo deceduto a Ebensee nel gennaio 45.
RispondiEliminaMi sono emozionato.
Grazie . Leggendo il suo commento, l'emozione mia è stata altrettanto grande. Era un dovere nostro, raccontando di Roberto Camerani, citare i nomi dei suoi "compagni di viaggio" brianzoli, insuperabili Eroi dimenticati da una nazione senza memoria. Ci piacerebbe avere qualche ulteriore notizia del suo sfortunato parente. Se mi vuole contattare,ecco il numero del mio cellulare 339.8446553 oppure giannicasiraghi@gmail.com
RispondiEliminaAncora grazie.
Dopo aver ascoltato il racconto riguardante le vicende accadute al mio caro nonno durante la 2° Guerra Mondiale in questa giornata importante del 25 aprile, il giorno della Liberazione, ho deciso di fare una breve ricerca di quello che era il Lager di Reichenau in cui fu deportato nel 1944/45. Navigando in internet per svolgere una breve ricerca sull'argomento ho trovato questo blog e ho capito subito che si trattava di un blog che mi era molto famigliare, Brianzolo come me insomma. Ora sarei molto curiosa di sapere se conoscete mio nonno, nato a Fara-Gera d'Adda in prov. di Bergamo il giorno 30 settembre del 1924 (residente ora ad Imbersago nel Lecchese). Se lo conoscete o lo avete già sentito nominare sarei molto contenta di questo. E' importante e soprattutto emozionante sapere tutto ciò. Chissà mai che magari era uno dei "compagni di viaggio" del Sig.re Rivolta o Camerani"!
RispondiEliminaGentilissima Simona
RispondiEliminami scusi ma per poterle dire se conosciamo suo nonno ci deve, per cortesia, dire con precisione come si chiama (nome e cognome). Se poi è così gentile di contattarci al seguente recapito e-mail le saremmo veramente grati. Mille grazie. Cordiali saluti. giannicasiraghi@gmail.com
G. Casiraghi
Il nome di mio nonno è: Casazza Francesco. Scusate se l'avevo tralasciato, me ne accorgo solo ora. Mi fa comunque molto piacere che anche voi abbiate risposto al commento. Grazie molte, è sempre bello sapere novità di questo genere!
RispondiEliminaMi chiamo Alma e ho saputo che Camerani nel suo racconto ha fatto il nome di mio zio Libero Casarini fratello di mia madre .Io non l'ho mai conosciuto ma lei mi parlava spesso di lui e mio nonno antifascista fino al midollo scrisse delle poesie che riguardavano le atrocità dei fascisti e non solo.
RispondiEliminaCiao, sei la figlia di Eva Casarini? Sono Fabrizio il figlio di Graziella. Dedicheranno a zio Libero la "pietra d'inciampo" nel 2024.
Elimina