di Matteo Colaone
(Associazione Domà Nunch - Moviment econazional de l'Insubria)
I fiumi d'Insubria esondano? Non-notizie che coprono altre realtà.
L'ignoranza e il disinteresse per i meccanismi che regolano l'ecosistema sono la prima causa dei cosidetti 'disastri naturali'. Ma sono veramente disastri, o giuste risposte ad azioni sbagliate perpetuate per decenni? Nella Repubblica Italiana (dove il 30% della popolazione scarica i rifiuti liquidi nelle acque), ogni volta che una piccola o grande catastrofe si abbatte su un territorio, vediamo buttare miliardi nella ricostruzione e in opere-pezza, senza investire nella rimozione delle cause del problema, ovvero alla prevaricazione dell'uomo e dei suoi interessi sugli ambienti.
In Insubria, in modo ancora peggiore, le naturali esondazioni agostane dei fiumi cementificati diventano notizia, mentre il quotidiano attacco dovuto alla pressione antropica (industrie e abitazioni) è considerato ormai un fattore normale. Così come non genera scandalo il fatto che fiumi e torrenti come l'Arno, l'Olona, la Lura, il Seveso, il Lambro, il Molgora siano utilizzati come fogna nella moderna Europa del 2010. E tutto questo, senza neanche beneficiare di interventi economici d'emergenza da parte dello Stato.
Approfondiamo tecnicamente questi temi troppo poco conosciuti con Luciano Erba, brianzolo, studioso degli ecosistemi fluviali e probabilmente il massimo conoscitore del Lambro. E' stato autore nel 2009 del volume "Lambro, l'inquinamento occulto". Lo ringraziamo con amicizia per la disponibilità accordataci.
Caro Luciano, durante la scorsa settimana i giornali e le televisioni hanno dato notizia dell'esondazione del Lambro e della Bevera, suo affluente. Notizie in qualche modo già sentite: sembra che ci si accorga dei nostri corsi d'acqua solo quando 'danno fastidio'. Ma le esondazioni, fenomeni sporadici seppur violenti, non fanno parte della natura del nostro ecosistema?
Certamente ed in modo ineluttabile. I fiumi, per chi li studia sono sistemi ecologici molto complessi ed affascinanti proprio per la dinamicità che li caratterizza. Osserviamo uno qualsiasi dei corsi d'acqua della nostra terra in una stagione asciutta: tutto è ridotto (complice l'inquinamento) ad un rigagnolo maleodorante, opacizzato, con sedimenti nerastri anossici, o all'ossatura marcescente di un alveo afotico, spento tra rifiuti, plastiche, spesso in un corridoio dimenticato, poco invitante.
La piena ci restituisce, senza nostro merito, un fiume vivo e una risorsa sottostimata. La portata, il tirante idraulico, è come la compressione, la forza di un motore, attraverso cui avviene la rigenerazione dinamica del paesaggio fluviale, in un dimensionamento estetico rapido quanto inimitabile per bellezza, ma soprattutto funzionalità. Il rimpinguamento delle acque sotterranee, la sedimentazione nelle piane alluvionali superstiti, la laminazione con deposito dei limi e delle granulometrie via via decrescenti del percorso longitudinale, l'autodepurazione meccanica e biologica, la creazione di ambienti umidi transitori, la pulizia del materasso ciottoloso, la diversificazione degli habitat e delle nicchie ecologiche, fattori imprescindibili di biodiversità, l’ossigenazione, la regolazione micro-climatica, i processi biogeochimici che avvengono sotto il paesaggio, in ambito iporreico o interstiziale, l'incredibile mosaico di micro-ambienti dell'interfaccia riparia, le occasioni di rifugio, di completamento o propagazione del ciclo vitale acquatico (le golene sono come nursery per gli avannotti ), il richiamo e la trasmigrazione faunistica ciclica ed occasionale, il ripascimento edafico (suoli e formazioni arboree), l'interscambio falda/fiume con infiniti altri coinvolgimenti che stanno alla base del sistema di auto-mantenimento della risorsa, tutto questo... (se non basta!) rappresenta una piena: in una parola il rinnovo gratuito di una risorsa resa esausta da abusi e disusi consumistici. I fiumi con una percentuale di gran lunga inferiore all'1% delle acque terrestri, costituiscono, nel loro ciclo, un trait d’union insostituibile tra le masse oceaniche e l'atmosfera. Ignorare tutto questo o pensare di contenere, trasformare questa imperfettibile complessità in un canale o in un argine è fonte di continua sorpresa per un governo lungimirante delle acque, destabilizzante e assurdo nei risvolti ambientali.
L'impermeabilizzazione del suolo e l'arginatura delle sponde sono fra i primi nemici del regime naturale di un corso d'acqua. Secondo la tua esperienza, qual'è la condizione media dei fiumi della nostra Insubria pedemontana?
Il processo di artificializzazione non è uno dei nemici, ma il fattore destabilizzante per antonomasia. Il dissesto idrogeologico è aumentato e non diminuito a causa di queste opere, non paragonabili per intensità distruttiva ad alcun tipo di inquinamento per i tempi di assorbimento lunghissimi, quando non irreversibili e per l’impatto devastante sugli aspetti biologici ecologici e strutturali dell’ecosistema. Si distrugge in breve un lavoro della Natura, costruito in tempi geologici e frutto di un processo selettivo. I migliori corsi d'acqua territoriali, da un punto di vista della diversità ambientale e della funzionalità del corridoio fluviale, sono Ticino e Adda, pur non senza problemi: l'Adda Valtellinese è stata distrutta non dagli eventi alluvionali, che hanno cancellato gli insediamenti in aree sensibili, ma dall’alluvione di cemento che ne è seguita. Il comprensorio Lambro-Seveso-Olona è il più sofferente. Gli ultimi due si “sfaldano” (cancellazione fisica) all'altezza metropolitana, riconfluendo in gran parte a Lambro per vie traverse, tombinature, colatori. Mi incuriosiscono, non oltre, le notizie di esondazione in questi ambiti. Prima si seppellisce un fiume vivo, poi ci si meraviglia che voglia riemergere. Il bacino del Seveso negli ambiti non antropizzati sta raggiungendo livelli di disinquinamento del Lambro brianzolo con angoli naturali di pari bellezza, ma in estesi tratti anche molto prima di Milano è fisicamente distrutto dal cemento. Interventi di rinaturazione ripropongono, anche se con qualche miglioramento del corridoio, incoerenze e banalizzazioni che ritenevo definitivamente superate (scogliere, spondali tanto per cambiare). Se i "Contratti di fiume" si ridurranno a questo o al mero ampliamento dei depuratori senza valutarne l’impatto biologico, sarà l'ennesimo tracollo.
Il Lambro non è messo malissimo da questo punto di vista in quanto l'area metropolitana, Monza – Milano è in parte stemperata dai Parchi, c'è una notevole aggressione alla fascia di mobilità funzionale (solite scogliere e tracciati viari insostenibili) e all’alveo, ma il corridoio ha ancora spazi di respiro e certi interventi di consolidamento sono amovibili, con opportuna riconversione ad ambito fluviale.
A questo si deve aggiungere la presenza industriale, la chimica in agricoltura e l'uso anormale di detergenti, fenomeni che hanno grande responsabilità dell'inquinamento occulto che hai descritto nelle tue pubblicazioni. Convieni che, in buona parte del nostro territorio, solo una immediata e radicale politica di de-urbanizzazione e rimodellamento del paesaggio potrebbe ripristinare gli ambienti fluviali?
Come minimo e non solo a vantaggio dei fiumi. Il rimodellamento del paesaggio (fluviale) avviene autonomamente, proprio con le piene, come illustrato. Un processo di riqualificazione credibile si basa su alcuni concetti fondamentali: riaprire le piane alluvionali (superstiti), demolendo gli argini e ripiantumando. Il resto è relativamente veloce e gratuito, nei tempi della dinamica fluviale. I consolidamenti dove indispensabili vanno collocati esternamente ed in modo compatibile alle aree golenali e ai termini paesaggistici (ex legge Galasso). Sicurezza univoca e prioritaria è quella di rispettare una doverosa distanza non dall'alveo bagnato, ma dall'alveo di piena (normalmente asciutto anche per lunghissimi anni). Con ciò garantiremo non solo l'incolumità rivierasca, ma anche la conservazione di un sistema fluviale. Per quanto già esistente e, ragionevolmente, non delocalizzabile, occorre sì una governance idraulica, ma non dell'impatto improponibile finora osservato, quanto più di quello incastonato, invisibilo o apparentemente in secondo piano nel contesto paesaggistico-funzionale prima descritto. Questo è un indirizzo stimolante e qualificante: il mercato cementificatorio di un fiume è un binario morto, non appartiene ad un paese civile, a nessun indirizzo scientifico e tantomeno alla nostra cultura e alle nostre tradizioni.
Parallelamente va aggiunto il dimensionamento dei consumi idrici nei termini di sostenibilità ecosistemica. Le portate sono in progressivo scompenso. I nostri fiumi, infine, quali sistemi auto-depuranti, funzionano come un grande rene atrofizzato di un territorio superaffollato, ricolmo di veleni potenzialmente veicolabili, ad alto rischio di crisi ambientale. Lo diceva Ruffolo, Ministro dell'Ambiente fine anni '80, ma non vedo miglioramenti definitivi, semmai diversificazione dei veicoli o dei contenuti di trasmissione del degrado che risultano nella banalizzazione o perdita degli ecosistemi. Sulla de-urbanizzazione (ed estesamente de-industrializzazione dei processi incompatibili con la conservazione delle nostre risorse), è sufficiente una politica del territorio assennata, o consapevole: industrie, strade, case, solo quanto basta. E lo sviluppo sostenibile per ora è concetto vuoto, puramente strumentale. Per il consumo dei suoli basta aprire Google Earth , non serva altro per rendicontarsi. Se puntiamo al consumismo becero, ci sono interi continenti che ci sovrastano nella diffusione della quantità al posto della qualità, anche in senso economico: questa linea è perdente.
Ormai molti preferiscono entrare in contatto con i fenomeni della natura tramite la banalizzazione notiziaria piuttosto che tentando una quotidiana comprensione del mondo in cui vivono. Perchè le notizie di disastri ambientali (nazionali e globali) sono spesso fornite in modo a-scientifico, demagogico e sensazionalistico?
I nostri vecchi avevano un rapporto molto più familiare con l'acqua e l'ambiente, più conviviale, traendo direttamente fonti vitali. Un bracconiere aveva più conoscenze di ordine pratico, se vogliamo, di certi laureati d'oggigiorno. Si temeva l'ambiente e lo si rispettava per questo e come risorsa. L'avvento tecnologico ha comportato il dominio dell'uomo sulla natura, ma anche la piena responsabilità di questa conduzione, di cui non si è ancora presa adeguata coscienza. Il sensazionale, anche se di bassissimo spessore, attira l'audience. Il messaggio scientifico è impegnativo, di difficile rappresentazione e necessita di una diffusa base culturale per la comprensione. In tempi grassi dilaga il futile, il superfluo, in tempi magri sono ben altre le attenzioni primarie. Il modello di sviluppo e di costume ci ha peraltro allontanato da una Natura, prima avvelenata e poi interpretata come un nemico, un pericolo, portatrice di flagelli o simbolo di degrado, un facile capro-espiatorio su cui far convergere l'attenzione deviandola dai reali problemi.
Da ultimo, ti chiediamo una riflessione sullo sversamento di idrocarburi nel tuo Lambro avvenuto in febbraio. Quanto è cambiata la salute del fiume e delle sue sponde dopo il disastro?
I fattori biotici rispondono alla complessità dei fattori di degrado e il quadro diagnostico è sistematizzato su livelli elevati di compromissione, prima e dopo l’evento. La componente cronica di contaminazione supera quella acuta, anche se di eccezionale portata come nella fattispecie. Credo che le aree più provate siano quelle lentiche o di sedimentazione, con tempi di recupero piuttosto lunghi. I tratti dinamici hanno sopportato di peggio. Non ho peraltro seguito direttamente il caso per alcune considerazioni. Il Lambro a sud di Monza è per noi un Lambro morto, sebbene la realtà non sia sempre così radicale e l'eccezionale capacità biogena di queste acque si manifesta anche nell’area metropolitana: merita attenzioni e interventi, ma la frequentazione è ovviamente poco invitante ed a rischio. In secondo luogo non amo rincorrere le manifestazioni patologiche eclatanti, specie quelle annunciate. Ne rilevo invece le dinamiche preconfezionate, puntualmente verificabili. Non mi chiedo in parole semplici perché muoiono i pesci in certi tratti di Lambro, ma piuttosto mi interessa come fanno a vivere, e qui si manifesta la vera sensazionalità delle strategie naturali.
In conclusione non capisco (in realtà lo capisco benissimo) perché si insiste in una visione settoriale e perdente del fiume (l'ottica esclusivamente idraulica) cercando un modello finora impattante di controllo matematico delle piene e non si converga invece in un modello matematico di salvaguardia del fiume come ecosistema, che ricomprende anche la sicurezza idraulica, ma soprattutto l'interezza della risorsa. Non dobbiamo inventarci un fiume nuovo artificiale, ma creare una barriera fisica e culturale intorno al degrado: la tecnologia , se proprio, a supporto e non a condizionamento della risorsa. Quell'opificio o deposito, emblema di certo peso industriale, non aveva esigenza o motivazione alcuna, di facile commistione con le acque del Lambro. Se fabbrichiamo un cavallo di Troia, aspettiamoci le conseguenze. Andiamo a realizzare collettori, depuratori e scolmatori che al primo acquazzone spalancano porte perverse al fiume. Cosa vogliamo attenderci? Un'acqua balneabile? Tra migliaia d’industrie e milioni di persone? Ecco perché si esalta un'esondazione da quattro soldi per nascondere le vere mancanze e magari per fare di questo l’ennesimo business improduttivo e a carico della collettività. Sperare in quanto di positivo è già stato fatto non costa nulla, ma conduce a poco e garantisce nulla. Il risanamento di un fiume a questo punto ( e non per colpa del fiume ) costa e, senza ingenerare un pessimismo già diffuso, deve avvalersi solo di gestori cogenti e affidabili sotto ogni rigore. Qualcosa si può ancora salvare, se alle buone intenzioni seguiranno buoni progetti, non con una correzione, ma con un'inversione di rotta, diversamente tutto procederà in una sorta di aut-aut, con verticalizzazione dei fenomeni come risposta a fattori indotti dagli eccessi antropici.
Leggi anche:
Disastro del Lambro: sei mesi di domande, nessun colpevole
HELP da Monza, la maggioranza fascista, forzista e leghista che sta in piedi per un voto
RispondiElimina(http://brianzantimafia.blogspot.com/2011/06/da-una-inchiesta-per-riciclaggio-di.html)
vuole cementificare il Lambro ANCHE nel Parco
http://www.comune.monza.it/portale/monzaservizi/urbanistica/pgt/variante_pgt/variante_generale/piano_servizi.html
Che ne dite? Potete aiutarci a salvare il Lambro?
claudio consonni
consigliere comunale PD
Prendiamo spunto dalla richiesta di aiuto del consigliere Claudio Consonni per segnalare che diverse associazioni ambientaliste della Brianza hanno recentemente costituito un "Osservatorio" dei Piani di Governo del Territorio (http://www.vorrei.org/ambiente/1-ambiente/3657-un-osservatorio-per-il-territorio-di-monza-e-della-brianza.html).
RispondiEliminaPer eventiuali contatti, adesioni e richieste di informazioni consigliamo di prendere contatto con Paolo Conte (Coordinatore dell'Osservatorio) al seguente indirizzo e-mail:legambientedesio@libero.it
Non entro nel contesto specifico, per ragioni di tempo ed in quanto ritengo la regimentazione artificiale del fiume, rigettabile in toto come filosofia di gestione. La sicurezza idraulica si ottiene lasciando una fascia di rispetto assoluto e recuperando ovunque le piane alluvionali. Difese estemporanee sono tollerabili in ambiti strettamente insediati fino all'ottenimento di un equilibrio idrologico naturale.
RispondiEliminaSarebbe importante, ne intuisco le difficoltà, se l'Osservatorio riuscisse ad ottenere il rispetto dei principi ex-Legge Galasso. A 150 m dalle rive deve cessare qualunque forma di ingerenza antropica. A 30 m dalle sponde poi dovrebbe istituirsi un vincolo ambientale assoluto, per tutela della fascia di mobilità funzionale e salvaguardia e/o ripristimo della copertura arborea autoctona (parte integrante del sistema lotico e dell'ecotono ripario). La lettura esclusivamente idraulica del fiume porterà alla distruzione dello stesso, prima come realtà biologica, ecologica ed infine idrologica. La materia va normata diversamente. Queste opere, salvo rare eccezioni di sostenibilità, ricalcano un obiettivo perlomeno aleatorio in termini di risultato, usano nomenclature subdole o sedicenti, (difesa dei suoli, mitigazione del rischio idraulico, riprofilatura dell'alveo, pulizia dell'alveo e addirittura "riqualificazione fluviale" ecc...) dovrebbero invece interessare il codice penale nel caso di manifesta devastazione della risorsa ambientale. Ancora oggi passano sopra a tutto con provvedimenti d'urgenza per l'aspetto di sicurezza civile, con facile sconfinamento demagogico, senza escludere la latenza del business illegale o comunque la semplice appetibilità della commessa pubblica per l'entità del corrispettivo finanziario connesso, a prescindere dalla reale utilità e/o sostenibilità.
Le direttive comunitarie sono recepite in modo blando e a mio avviso, non saranno evase, manca una precisa volontà politica al riguardo. Salvo un ristretto ambito di studiosi appassionati o sensibili alla realtà ambientale, come il messaggio ricevuto, la materia purtroppo, nel variegato contingente della problematica sociale, passa quasi inosservata. La prima denuncia a questo riguardo la inoltrai circa vent'anni fa alla Procura di Como, con il pieno consenso del Magistrato, cui seguirono gli avvisi di garanzia, ma sempre nell'indirizzo dell'illecito finanziario, invece serve l'avvio di un codice normativo, di interdizione alla banalizzazione ambientale che è un processo degenerativo, "diabolico" perchè strisciante, devastante e scarsamente percepibile dall'opinione pubblica.