di Roberto
Fumagalli,
referente
regionale Lombardia Referendum Acqua
Esattamente un anno fa, il 13 giugno 2011, si
festeggiava la straordinaria vittoria dei due Referendum
nazionali sull’Acqua, coi quali
la maggioranza (ben 27 milioni) degli Italiani ha chiesto che l’acqua sia considerata un bene comune, non
privatizzabile, gestito secondo criteri di solidarietà e pertanto fuori
dalle logiche del mercato e del profitto.
Ma ad un anno di distanza, l’acqua è ancora sotto l’attacco dei
privatizzatori. Già ad agosto 2011, a soli due mesi dalla vittoria
referendaria, il governo Berlusconi (sostenuto da Pdl e Lega, con l’opposizione
di Pd e Udc) aveva tentato una manovra, solo in parte rientrata, per obbligare i
comuni a mettere sul mercato, ovvero a privatizzare, la aziende di gestione dei
servizi pubblici locali, tra cui l’acqua. Ma la sferzata pro-mercato si
intensifica ora col governo Monti
(sorretto da una diversa maggioranza composta da Pdl, Pd e Udc, con
la Lega schierata
all’opposizione) che, col pretesto dello “sviluppo” per uscire dalla pesante
crisi economica, sta conducendo una pressante campagna politica e giuridica per
la liberalizzazione dei servizi pubblici, col rischio che anche la gestione
dell’acqua venga affidata al mercato e ai privati.
I cittadini e i Comitati per l’acqua pubblica di tutta
Italia non hanno mai smesso di lottare strenuamente contro queste nuove ondate
di privatizzazioni. Sabato 2 giugno, decine di migliaia di persone hanno sfilato a Roma davanti ai palazzi del potere per chiedere
il rispetto dei referendum, ovvero una gestione pubblica e partecipata
dell’acqua e dei servizi primari.
Nel frattempo il compito di
attuare i referendum è delegato ai Sindaci, che dovrebbero introdurre
gestioni totalmente pubbliche dei servizi idrici, applicando tariffe che
escludano profitti per i gestori degli acquedotti. Ma spesso gli stessi primi
cittadini si rendono “complici” della privatizzazione: col paradosso del
pedissequo rispetto delle leggi, i Sindaci finiscono per avallare le ricette
liberiste dei governi (Berlusconi o Monti, pari sono), ma nel contempo non
rispettano il volere che la maggioranza degli Italiani ha espresso col voto ai
referendum!
È quello che rischia di
succedere anche nelle principali città del Nord Italia, i cui Sindaci (tutti di
centro-sinistra) stanno ipotizzando la cosiddetta Multiutility del
Nord, che si formerebbe dalla fusione delle ex municipalizzate di Milano
e Brescia (A2A), di Torino, Genova e dell’Emilia (Iren), di Bologna (Hera). Una
maxi azienda da quotare in Borsa, che trascinerebbe nella speculazione finanziaria anche la
gestione dell’acqua di città lombarde, legate ad A2A, come Brescia, Varese, Como, Lecco, Sondrio,
Bergamo, Monza. Alla faccia dei referendum!
A complicare le cose in Lombardia vi è l’attuale quadro
normativo e la totale inerzia della giunta Formigoni: nella nostra Regione occorre modificare al più presto la legge
regionale (approvata nel 2010, ovvero prima del referendum), che ancora
prevede la privatizzazione. I Comitati acqua della Lombardia, che avevano
fortemente contestato la norma voluta dalla giunta Formigoni,
poche settimana fa sono ritornati alla carica, consegnando ai Consiglieri
regionali un Appello (sottoscritto da centinaia tra sindaci,
assessori e consiglieri comunali, associazioni) in cui si chiede di modificare
la legge regionale, riattribuendo ai Comuni la titolarità sui servizi idrici e
introducendo una gestione pubblica e partecipata degli
acquedotti.
In definitiva, ad un anno di
distanza da quel 13 giugno 2011, la politica fa esattamente il contrario di
quanto votato coi referendum, dimostrandosi sempre più lontana dai desiderata
dei cittadini.
Dalla pesante crisi economica
si esce anche con un efficiente governo pubblico dei beni comuni, da
contrapporre ai disastri del libero marcato.
In Lombardia, così come in tutta Italia, è tempo che
l’acqua venga sottratta alle logiche del mercato e del profitto, scongiurando la
privatizzazione e prevedendo una gestione pubblica ed efficiente dei servizi
idrici.
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