Immagine tratta da resegoneonline.it |
Studi scientifici e l’esperienza di altre realtà locali hanno ampiamente dimostrato l’inefficacia e l’inutilità dei “piani di abbattimento”.
Via libera alle doppiette per la caccia al cinghiale, specie non autoctona, bensì introdotta negli anni passati nei nostri territori a scopo venatorio e oggi considerata dannosa e troppo invasiva. Questo è quanto deciso lunedì 24 ottobre dalla Giunta di Regione Lombardia, con approvazione della delibera che affida di fatto ai cacciatori il compito di contenere la popolazione dei cinghiali presenti sul nostro territorio.
Se è pur vero che esiste un’emergenza degna di considerazione relativa ai danni causati dai cinghiali alle colture e allo stesso ecosistema nel quale si muovono, è anche vero che delegare i cacciatori nella gestione di questo complesso problema è molto rischioso sotto diversi punti di vista oltre che essere praticamente inefficace nel medio- lungo termine se non addirittura controproducente.
Pur riconoscendo pienamente la necessità di mettere in atto un piano di gestione volto alla riduzione del numero di individui presenti nel lecchese, siamo fermamente convinti che una tale operazione non possa e non debba essere affidata ai cacciatori.
Una qualsiasi attività di gestione del cinghiale non può prescindere dai principi fondamentali di ecologia, biologia e dinamica di popolazioni, ma al contrario deve essere subordinata ad uno specifico piano di prelievo derivante da uno studio tecnico preciso che prenda in considerazione i parametri fondamentali che caratterizzano una popolazione di cinghiali in un determinato territorio. Tra essi è necessario conoscere la distribuzione e la consistenza della popolazione nelle varie stagioni, le classi di età, il rapporto numerico maschi/femmine. Importante anche conoscere i tassi riproduttivi per classi di età nonché i tassi di sopravvivenza.
Affidare ai cacciatori l’azione contenitiva, significa voler ignorare completamente le linee guida da seguire in situazioni come queste. I diversi ricercatori che si sono occupati di fenomeni di “eccessiva proliferazione” di questi ungulati sono tutti concordi nell’affermare che l’espansione delle loro popolazioni non può essere controllata tramite prelievo venatorio che risulta essere totalmente inefficace nel ridurne l’accrescimento.
É stato invece osservato dai ricercatori che un esasperato prelievo venatorio, quindi non selettivo, pur portando nell’immediato ad una riduzione degli individui, determinerebbe anche un aumento del tasso di incremento utile annuo della specie che compenserebbe in tempi brevi la riduzione subita. Questo significa che l’abbattimento non selettivo fornirebbe soltanto una “soluzione apparente” ma che in capo a breve tempo ci si troverebbe di fronte ad una popolazione altrettanto numerosa rispetto all’attuale, se non ancor di più. Dovrebbe far scuola quanto avvenuto nei Colli Euganei dove, nonostante le massicce azioni di abbattimento dei cinghiali, la popolazione non è affatto diminuita, con conseguente inutile sperpero di denaro pubblico per organizzare e autorizzare centinaia di cacciatori di cinghiali ed ottenere come conseguenza l’aumento dei danni a spese delle aziende agricole.
Oltre alla provata inefficacia del metodo consentito dalla delibera regionale, bisogna considerare anche che la caccia al cinghiale, per i metodi con cui viene praticata, è quella a cui le statistiche attribuiscono il maggior numero di vittime, tra decessi e ferimenti gravi. Quindi consentire una simile metodica significa mettere in serio pericolo tutti coloro che nelle nostre zone sono soliti passeggiare nei boschi e sulle montagne e quindi costituisce un grave pericolo per l’incolumità pubblica.
Siamo altresì convinti che nell’immediato il contenimento per abbattimento possa essere considerato accettabile solo se strutturato e selettivo, come operato finora dall’Amministrazione Provinciale di Lecco mediante trappolaggio, metodica di gestione sicuramente più controllabile e affidabile.
Riteniamo inoltre che nel prossimo futuro debbano essere prese in considerazioni metodiche di contenimento alternative che agiscano sulla natalità e non sulla mortalità della fauna selvatica ritenuta invasiva, metodiche che garantiscano un’efficacia duratura nel lungo termine che limiti al minimo le azioni periodiche di cattura e abbattimento.
In merito, un’attenta osservazione andrebbe riservata ai recenti progetti messi in opera sperimentalmente non soltanto all’estero ma anche nella Maremma toscana, progetti che utilizzano la sterilizzazione farmacologica come metodo sicuro e non cruento per ridurre la popolazione a livelli del tutto accettabili in modo duraturo nel lungo termine.
Tale metodo messo a punto da una ricercatrice italiana molto esperta in materia, la dottoressa Giovanna Massei, prevede l’utilizzo di un vaccino che blocchi la fertilità dei cinghiali. Tale vaccino viene somministrato sotto forma di esche posizionate in appositi distributori apribili soltanto dai cinghiali stessi. Questo nuovo approccio alla sterilizzazione degli animali selvatici permetterebbe di abbattere i costi che in passato prevedevano la cattura e la successiva sterilizzazione ad opera di un veterinario, e quindi rendevano di fatto la sterilizzazione stessa poco conveniente. Oggi questo ostacolo, alla luce di questo nuovo metodo di somministrazione del farmaco, parrebbe superato.
Tutti gli studi condotti finora sulla dinamica di popolazione della fauna selvatica dimostrano scientificamente che il controllo della fertilità è più efficace dell’abbattimento e che solo utilizzando tale metodica è possibile ridurre davvero il numero degli individui di una popolazione di cinghiali in un determinato territorio.
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