Dario Balotta, presidente Osservatorio Nazionale Infrastrutture e Trasporti
Dal 2009 quando il Cipe approvò il progetto definitivo dell’autostrada Pedemontana Lombarda 35 mila lombardi proprietari di terreni, case e fabbriche vennero avvisati che le loro proprietà sarebbero state espropriate per lasciare spazio alla costruzione dell’autostrada che dovrebbe tagliare in due la Brianza per 67 km. Da allora solo il 30% della strada è stato realizzato e 25 mila proprietari da oltre 12 anni sono ostaggi di Pedemontana, prigionieri in casa loro senza poterla vendere o ristrutturare senza avere disponibili le loro proprietà. Secondo le norme si potrebbe tenere sotto esproprio una proprietà per massimo sette anni. Due anni fa sono stati allungati i tempi fino allo scorso gennaio. Con un blitz illegittimo favorito da una azione pilatesca del MIT, il Cal (Concessioni autostradali Lombarde), parente stretto di Aria spa, ha di nuovo prorogato l’esproprio fino al 2023. Una vera e propria violazione delle prerogative dei cittadini che non ha precedenti nella storia del diritto in Italia. Una situazione insopportabile che può sfociare in ricorsi amministrativi per riaffermare il diritto e la proprietà privata
Certo la storia di Pedemontana non si può definire una di finanza di progetto, seppure sia cominciata con queste intenzioni e regole. Regole che parlavano chiaro: 4 miliardi di costi: il 33% (1,2 miliardi) a carico dello lo Stato ma il resto doveva essere finanziato in parte dal concessionario (allora 500 mln) e il resto dal mercato. I lavori sono partiti con i soldi pubblici, saliti dal 33% all’80% ma senza quelli privati, se si esclude un prestito “ponte” da 200 milioni concesso dalle banche socie a tassi esorbitanti (oltre il 7%) che saranno pagati da pantalone.
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