Parte 2 di 12
A cura di Andrea Agapito Ludovici, WWF Italia
La fine delle Autorità di bacino?
La famosa legge sulla difesa del suolo, l.183/89, sostituita dal Dlgs.152/06, fa parte ormai di un pregevole tentativo, quanto fallito e passato, di gestire i nostri corsi d’acqua con un approccio a livello di bacino idrografico e una pianificazione promossa e coordinata da autorevoli autorità di bacino. Negli anni ’90 le autorità di bacino nazionali hanno certamente avuto un ruolo tecnico e culturale notevole approvando, sebbene spesso a valle di calamità o eventi catastrofici, a piani per le fasce fluviali e piani di assetto idrogeologico innovativi soprattutto se paragonati al quadro istituzionale italiano. Il nuovo millennio, invece, ha determinato un repentino cambio di rotta e le Autorità di bacino si sono trovate schiacciate nel confronto – scontro tra Governo centrale e Regioni in merito alle presunte richieste d’autonomia e all’incapacità di mantenere una visione e un interesse per la gestione del territorio basata sulla prevenzione, sulla manutenzione, sul recupero della funzionalità ecologica e sulla tutela delle risorse naturali.
Il Dlgs.152/99 ha consentito una prima delegittimazione delle Autorità di bacino praticamente escludendole dal processo di definizione dei Piani di tutela delle acque affidati in toto alle Regioni che hanno provveduto ognuna per conto proprio, alla faccia dell’ottica di bacino. Poi la legge 179 del 2002 ha pesantemente modificato il sistema di programmazione delle risorse destinate agli interventi e alle opere sul territorio, di fatto esautorando l’attività dei Comitati istituzionali delle Autorità di bacino, i quali, da allora, non effettuano più la ripartizione su base triennale delle risorse, secondo gli interventi individuati dai piani di bacino (o loro stralci). Inoltre, dal 2004, proprio a seguito della novella legislativa, non sono più stati trasferiti fondi per le attività istituzionali (fondi studi) e ciò ha comportato un lento ma inevitabile rallentamento delle attività, che sta conducendo alla perdita di una competenza cosi importante come quella delle autorità di bacino. Vi è anche una grave mancanza di risorse per le spese di parte corrente, che ha generato una articolata situazione debitoria nelle Autorità che, oltre a sviluppare ulteriori spese (interessi e oneri legali), ha reso troppo difficoltoso lo svolgimento dei compiti istituzionali.
Cabine di regia e Protezione civile
Con la crisi idrica del 2003 sono state inaugurate le cosiddette “cabine di regia”. Si tratta di tavoli di confronto promossi a seguito di dichiarazioni di stato di emergenza che hanno coinvolto, con la regia del Dipartimento di Protezione Civile, le Regioni, le autorità di bacino con i grandi utenti, i gestori dei serbatoi per l’idroelettrico, i consorzi di bonifica e i consorzi di regolazione dei laghi. Tutti insieme hanno convenuto una serie di misure per superare l’emergenza. Un meccanismo che ha fatto scuola e che ha incoronato definitivamente la Protezione civile come l’unico ente in grado di coordinare tutti i soggetti presenti sul territorio anche se solo durante lo “stato di emergenza”. Un alibi eccezionale che consente alle Regioni di candidarsi a coordinare e/o realizzare le opere nel proprio territorio a seguito dell’emergenza e con procedure agevolate e più veloci e al di fuori della pianificazione ordinaria e aspettare la successiva crisi idrica o alluvione eccezionale per incontrarsi con gli altri enti e a “rispartirsi la nuova torta”.
Mentre tutta Europa sta rilanciando una pianificazione a livello di bacino idrografico, grazie anche all’applicazione delle direttive comunitarie, l’Italia ha collezionato in questi ultimi anni solo richiami e condanne dalla Commissione europea per non aver preso seriamente in considerazione la legislazione comunitaria in materia di acque. Lo scorso anno, nel disperato tentativo di scongiurare le sanzioni europee per inadempienza, con la l.13/09, è stato affidato il coordinamento della redazione dei Piani di distretto idrografico alle Autorità di bacino. I Piani sono stati fatti, in poco più di sei mesi a fronte dei 3 anni richiesti dalla normativa; il processo partecipato previsto all’art.14 della dir.2000/60/CE, si è esplicitato in una serie di incontri tutti concentrati in un mese e mezzo: in questo modo non sono state garantite né l’adeguata informazione né tantomeno il necessario coinvolgimento degli stakeholders o attori sociali qualsivoglia. Non essendo a tutt’oggi stati istituiti i distretti idrografici indicati dal Dlgs.152/06 – e criticati come non adeguati dalla Commissione europea - le Autorità di bacino hanno dovuto redigere piani per territori spesso ben più estesi di quello a loro destinato dalla ex legge 183/89. E’ stata fatta, quindi, un’azione di “sistematizzazione” di ciò che esisteva senza poter variare molto da quanto già definito dalle Regioni nei propri Piani di tutela delle acque e, sostanzialmente, limitandosi a definire alcuni indirizzi ed orientamenti come misure che avrebbero dovuto essere molto più specifiche e di dettaglio.
Purtroppo si è ancora in attesa di un qualche riscontro alle numerose richieste e sollecitazioni inviate al Ministero dell’Ambiente e del Territorio e della Tutela del Mare che sembra totalmente disinteressato a una gestione fluviale efficace e volta alla tutela degli ecosistemi d’acqua dolce, ma che ha abdicato le sue funzioni di pianificazione e controllo a favore della Protezione Civile sempre più presente ed incidente sul territorio.
Nella foto sotto il titolo: Adda. Punto di ritrovo
Parte 3° - Il censimento
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