A cura di Andrea Agapito Ludovici, WWF Italia
I pesci rappresentano senza dubbio una delle componenti biologiche più significative e a rischio degli ecosistemi di acque dolci. E’ solo da pochi anni che è maturata la consapevolezza che l’ittiofauna del nostro Paese è in grave pericolo e che è necessaria un’attiva azione per la sua conservazione (Zerunian 1996, 2002; WWF Italia, 1998).
La “lista rossa” delle specie di pesci italiane (Zerunian, 2007) mostra una situazione allarmante per un po’ tutte le specie e tragica per alcune di loro, come lo Storione, lo Storione ladano e la Lampreda di fiume, che in Italia sono considerate praticamente estinte. Dal 1998, quando fui compilata la prima red list, la situazione è peggiorata e sembra seguire un trend irrimediabilmente negativo. Il WWF ha promosso, in concomitanza del censimento lungo i fiumi, la redazione di una scheda per ogni tratto fluviale censito sullo stato della comunità ittica (allegato 1) per avere un ulteriore contributo sulla situazione della biodiversità in questi corsi d’acqua; non si tratta, quindi, di uno studio esaustivo, ma di uno spunto di riflessione e di una chiave di lettura anche in riferimento alla red list.
Oltre alle specie considerate estinte, vi sono pesci apparentemente comuni come l’Anguilla, il Triotto, la Tinca, il Luccio, la Scardola e il Latterino, precedentemente considerati “non a rischio”, che sono stati inseriti nella categoria “quasi a rischio” e che sembrano proseguire il loro trend negativo anche dai primi dati aggiornati al 2 maggio.
La tinca è specie autoctona in forte regresso, mentre il Siluro è una specie alloctona invasiva in forte e preoccupante espansione
Di contro aumentano le specie aliene che, grazie alla vulnerabilità crescente degli ecosistemi fluviali e alle infelici immissioni, continuano a diffondersi: è il caso dell’Abramide, del Siluro,
della Pseudorasbora, del Cobite di stagno orientale, che si sono aggiunte alle numerose già presenti e “naturalizzate”, come il Persico sole, il Persico trota, il Pesce gatto, la Gambusia, il Lucioperca, il Carassio, la Trota iridea e tanti altri. Vi sono danni anche alle popolazioni indigene a causa delle non infrequenti ibridazioni tra taxa immessi e quelli presenti, come per le trote dove si registra spesso questo problema. Ma i danni non derivano solo da queste specie chiaramente alloctone, ma anche da specie “italiane”, altrettanto alloctone, inopinatamente spostate da un bacino idrografico all’altro. Un singolare caso è quello del Ghiozzo padano (Padogobius martensii), introdotto con ripopolamenti per la pesca sportiva in alcuni corsi d’acqua dell’Italia centrale, che è direttamente entrato in competizione con l’autoctono Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans), causandone la sua riduzione e parziale scomparsa da vari fiumi (Zerunian e Taddei, 1996; Zerunian, 2002).
Purtroppo nonostante il divieto di reintroduzione, introduzione e ripopolamento con specie e popolazioni non autoctone (comma3, art.12 DPR 12.3.2003, n.120), continuano ad essere oggetto di immissioni più o meno incontrollate molte specie alloctone peraltro fortemente impattanti con la fauna autoctona.
Qualche anno fa è stato proposto anche un “Piano d’azione generale per la conservazione dei Pesci d’acqua dolce italiani” (Zerunian, 2003), che rappresenta un prima organica proposta per la tutela delle comunità ittiche in Italia. Il Piano, inoltre, evidenzia la necessità di avviare urgenti azioni specifiche per 8 taxa considerati di particolare interesse conservazionistico: la Lampreda padana, la Trota macrostigma, il Carpione del Fibreno, il Carpione del Garda, il Panzarolo, il Ghiozzo di ruscello, lo Storione cobice e la Trota marmorata.
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