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sabato 1 novembre 2014

Fiumi cementificati e disastri alluvionali


Lo stra-volto dei fiumi. Una ruspa al posto del Creatore
di Luciano Erba

I recenti disastri alluvionali, occorsi in disparate località del territorio nazionale, hanno portato alla ribalta - accanto alle immagini desolanti di persone e beni colpiti dalla calamità - anche il volto, in realtà lo "stravolto", di quelle manifestazioni idrologiche che rispondono alla denominazione di fiumi o torrenti, oppure fiumare, in particolare al Sud, dove spesso ricorrono condizioni astatiche. Ora condividere un equo indennizzo per chi ha subito danni materiali e riservare una terrena pietà a chi, invece, ha addirittura subito la perdita di una persona cara, ci pare perlomeno un atto dovuto, doveroso tanto da essere retorico, con alea demagogica per risultanze pubbliche, rendendo in ogni caso ben poco a chi ha sofferto l'evento e lasciando irrisolti i problemi di dissesto esistenti nel paese. Ma di questo e di certa inettitudine credo si parli già abbastanza.


Quello che colpisce, in seconda istanza e ad un'osservazione non emotiva, è che i corsi d'acqua interessati dai fenomeni presentano nella maggior parte dei casi connotazioni che nulla più hanno a che vedere con l'habitat, il metabolismo, l'autogoverno degli ambienti lotici nella conformazione naturale. Quello che si presenta ai nostri occhi è, in realtà, l'incubo o l'aborto di un sistema fluviale, non il caos prodotto dalla piena che è solo un tentativo naturale, fisico e deterministico di ripristinare un equilibrio sconvolto, ma la preesistente antropica devastazione degli alvei, dell'assetto spondale e golenale, delle piane alluvionali, in parole povere l'invasione dell'urbe, dei suoi asfittici cementi e delle sue orride geometrie, nella incontinente limitatezza e diversità di un piccolo torrente, di un'angusta repentina valle o di una piana esondabile di pertinenza di un grande fiume.

L'estensione trasversale del corridoio fluviale

E' solo nell'(errato) immaginario collettivo che il confine di un fiume si identifichi nell'alveo di magra (sempre bagnato), sussistendo un alveo di morbida che assorbe un volume ciclicamente superiore di deflussi e un alveo di piena che, secondo la conformazione del bacino imbrifero e del territorio circostante, può aumentare, secondo i tempi di ritorno, anche di cento volte esemplificando. Il confine terracqueo non è una linea retta che separa due mondi, ma un mosaico imperfettibile di micro-ambienti (tecnicamente ecotoni) che presenta un continuum, un'interdipendenza e un interscambio di materia ed energia imprescindibile. Edificare in questi ambiti, con tutti i consolidamenti che vogliamo, sarà sempre e comunque una situazione sub-judice (incompatibilità ecologica a parte). Per un'elementare legge fisica se costringiamo le acque in una sezione stretta e consolidata, il potere dirompente non si esaurirà, ma si trasferirà (accumulerà) semplicemente a valle. A tutt'oggi ascoltiamo anche da personaggi di notevole credibilità mediatica di distanze edificabili di 3-5 metri dall'alveo di magra, misure ridicole, a-scientifiche. Il disalveo, altra pratica ed orrendo neologismo, produce conseguenze opposte a sedicenti finalità di sicurezza idraulica. Abbassare il livello dei fiumi, livellandone gli alvei, oltre che comportare la devastazione metabolica e morfodinamica di un intero ecosistema con erosioni anche regressive, induce un assetto di canalizzazione ed instabilità, velocizzazione delle piene, che risulterà ancor più aggravata se le sponde saranno geometrizzate e consolidate, il fiume sfonderà nel primo punto vallivo più debole, richiedendo altre opere in una spirale quantomeno aleatoria nei risultati ed esponenziale nei costi. La vegetazione perifluviale o pioniera di greto non è un rifiuto ed è parte integrante, non solo coreografica, della vitalità ed energia di questi ambienti, quindi manutenzione ma non asportazione. I rifiuti sono di altro tipo, non dissimili da quanto troviamo in una discarica e vanno, manualmente, rimossi ma soprattutto preventivamente interdetti.


Collettori e scolmatori di piena oltre che veicolo pericolosissimo e sottostimato di diffusione di sostanze micro-tossiche incompatibili nell'ambiente acquatico, alterano fortemente i tempi di corrivazione. Le cosidette "bombe d'acqua" di recente manifestazione dipendono si da un aumento dell'energia nell'atmosfera, ma anche dall'inusuale velocità delle acque urbane che l'impermeabilizzazione dei suoli e delle condotte di raccolta (fognature miste, collettori) convogliano repentinamente in alveo.

Conclusioni

Questo è il quadro di uno status profondamente degradato a cui si può far fronte semplicemente con indirizzi di riconversione ad ambito fluviale, il rispetto di normative di distanza coerenti ( tipo ex legge Galasso, inedificabilità assoluta entro 150 m dall'alveo o superiori). In base alla capienza di massima piena, quindi, nessuna opera privata o pubblica dovrà essere attivata entro questi limiti, tantomeno interventi di regimazione trasversale o longitudinale all'interno di questi confini, bensì ripristino della vegetazione perifluviale e corretta manutenzione, riapertura piane alluvionali dove superstiti, utilizzi ricreativi od agricoli compatibili, ad esempio non mais altamente inquinante e depauperante dei suoli chimicamente trattati, ma prativi, o coltivi qualitativi e non impattanti. Tutto il corridoio fluviale ha intrinsecamente un altissimo valore ecologico (luogo di massima biodiversità) e almeno la parte più prossimale alle acque va vincolata alla vegetazione spontanea che, oltre a configurare un legante naturale dell'assetto spondale, ha un potere meccanico e biologico di filtrazione dei carichi inquinanti dilavati dai suoli. Tutto quanto percepiamo come paesaggio fluviale ha in realtà un ruolo funzionale che non può essere ignorato o devastato senza pagarne le conseguenze.


Lo scempio, l'estrema banalizzazione di tutto l'habitat specifico, l'inquinamento irrisolto e sistematizzato della quasi totalità dei deflussi dell'area antropica, presentano una perdita incommensurabile che va ben oltre la destabilizzazione idrologica. Fiumi, non escluso lo stesso Po, ridotti a valori biologici esangui, a tutt'oggi cloacali nel caso del comprensorio Lambro-Seveso-Olona, l'azzurro Ticino non più che la pallida ombra del significato antonomastico. Affrontare questo status come si trattasse di un problema idraulico è demenziale (delinquenziale se fosse propugnato a solo scopo di lucro). La funzione del fiume come sistema autodepurante e di conservazione della risorsa idrica e', nei due terzi dei corsi d'acqua nazionali, inibito oltre che dalla manipolazione degli alvei, dall'alterazione chimica che le acque reflue od esauste comportano a tutto il contesto. Il valore etico ed estetico della vita che scorre dentro e a causa di un corso d'acqua, non escluso il reticolo secondario, altrettanto importante e inscindibile da quello principale, è l'esito di un equilibrio omeostatico che porta in seno la stabilità di un ecosistema, la bellezza e la vitalità come garanzia di salubrità e di sicurezza.

Dissipare cifre impronunciabili per distruggere

C'è un'equazione incontrovertibile, urbanizzazione = distruzione del significato ecologico del reticolo fluviale, ridotto a manifestazione passiva, abiotica ed amorfa nemmeno idrologica, perché alterata anche in questo ritmo. Almeno finché non si abbandoni il costume corrente, l'uomo più distante sta dall'acqua, meglio è, in tutti i sensi. C'è anche un pregresso da gestire, beninteso, non si possono spostare città o paesi o borgate edificate in prossimità, ma nemmeno insistere in una lettura esclusivamente idraulica, perdente a prescindere. Ignorare l'unico progetto sostenibile che è quello che la natura ha selezionato in milioni di anni, produrrà solo un impressionante aumento del costo ambientale, quanto al resto le risultanze sono contingenti, più artificializziamo più il governo del fiume dipenderà dall'uomo, le conseguenze di questa gestione e di questa civiltà sono all'ordine del giorno.

Fonte: Arianna editrice 

Il blog Brianza Centrale ringrazia l'autore per averne consentito la pubblicazione.

1 commento:

  1. Vogliono curarmi, gettando milioni di metri cubi di cemento
    a Lentate sul Seveso, Varedo e Senago.............,
    per fortuna il Sindaco di Senago non e' d'accordo



    La voce del Seveso

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