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martedì 17 dicembre 2019

Gli impatti dell'incidente "Diossina-Icmesa" sulla pianificazione e gestione del territorio


Si è tenuto ieri, 16/12/2019, a Seveso presso l’Auditorium della Fondazione Lombardia per l’Ambiente il convegno di presentazione dei risultati dello studio “Analisi di rischio da esposizione alla diossina residua dell’incidente ICMESA“. Di seguito pubblichiamo la relazione di Gianni Del Pero, Presidente del WWF Lombardia e componente del Consiglio Scientifico di Progetto.

Gianni Del Pero
I primi provvedimenti adottati a seguito dell’incidente ICMESA furono le Ordinanze dei Sindaci di Seveso e di Meda emesse il 24 Luglio 76 che comportarono l’evacuazione della zona A, la zona in cui venne riscontrata la contaminazione più elevata, la cui delimitazione ebbe ripetuti aggiornamenti dell’approfondimento delle indagini condotte sui terreni.

La commissione Cimmino elaborò la prima mappatura delle aree classificate in funzione del livello di contaminazione riscontrato, che venne ufficializzata il 10 agosto. Nacquero le Zone A, B e R e le regole di comportamento associate scritte negli atti amministrativi e pianificatori.


Il 24 Agosto, quando l’entità dell’impatto dell’incidente sulla qualità dell’ambiente fu’ accertata, vennero emesse altre ordinanze sindacali che contenevano divieti e limitazioni: fù proibito «di svolgere attività che potessero provocare sommovimenti dei materiali contaminati, coltivare e consumare prodotti agricoli e allevare animali». E si impose l’obbligo di «distruggere tutti i prodotti derivanti dall’allevamento”. Provvedimenti adottatti sia sulla base delle rilevazioni condotte che anticipando l’applicazione del principio di precauzione.

Dopo l’evacuazione, fu vietato l’accesso alla Zona A, recintata con una rete metallica rivestita di vetroresina per impedire l’azione dispersiva del vento e l’accesso di animali di piccola taglia.  La diverse aree in cui venne suddivisa la Zona A furono bonificate e, in una decina di anni, riconvertite nel Bosco delle Querce. La trasformazione obbligatoria del territorio si tradusse in una sorta di compensazione ambientale per il danno subito.


La Zona B, venne interessata da locali operazioni di “pulizia” o di “messa in sicurezza” della diossina, sulla base delle conoscenze scientifiche del tempo e fu invece oggetto di provvedimenti con misure precauzionali, valide anche per la zona R. Per la zona B, in particolare, furono mantenuti i divieti di coltivazione e allevamento (e per un limitato periodo anche di permanenza notturna per bambini, donne incinte e anziani) oltre al divieto di edificazione, in relazione al rischio potenziamente indotto dagli scavi in grado di aerodisperdere le diossine o comunque di agevolare il contatto con il contaminante presente nei terreni.

Le Ordinanze rimasero in vigore fino al 1987 quando si ritenne che, essendo stata completata la bonifica delle zone A, il mantenimento delle misure di protezione e prevenzione non fosse più così “stringente”.

Ma la comunità scientifica e la Fondazione Lombardia per l’Ambiente, nata proprio dall’evento passato alla storia come “Diossina di Seveso”, hanno proseguito nell’attività di monitoraggio della diossina e del livello di rischio legato sua persistente presenza nei terreni e nel territorio della Diossina prodotta dall’Icmesa di Meda. Un momento importante di questa attività è stato l’Analisi di Rischio pubblicata nel 2003, oltre alle altre di cui ha relazionato il Prof. Ballarin Denti. Le misure di prevenzione del Rischio suggerite dallo studio, anche in funzione del principio di precauzione, non furono però adeguatamente recepite dalle Amministrazioni competenti.


Le Associazioni Ambientaliste hanno avuto l’indubbio merito, assieme ad alcuni Comuni direttamente coinvolti, di tenere accesi i riflettori sulla memoria della “diossina” e sulla necessità di riconoscerne la presenza nei terreni, approfondendo la conoscenza del livello di contaminazione della diossina residua, necessaria per la valutazione del rischio reale per i residenti e della compatibilità per le attività in essere o proposte sul territorio.
ARPA ha avuto il merito di emettere una nota nel giugno del 2012 nella quale, ricordando l’evento del 1976, chiedeva che ogni attività che comportasse lo scavo e la movimentazioni di terre da quella che era la zona B fosse preceduta di analisi chimiche per determinare la quantità di diossine e furani presenti. Anche a seguito delle sollecitazioni delle Associazioni, dei Comuni e del “promemoria” di ARPA anche per il progetto di Autostrada Pedemontana fu richiesto un Piano di Caratterizzazione della Diossina.

“La scrivente Agenzia ritiene opportuno che, relativamente agli ambiti di trasformazione compresi nella ex zona B del territorio comunale, delimitata ai sensi della d.c.r. del 7 ottobre 1976 n.11/270 (Burl n.44 del 3/11/1976), sia inviato all'Arpa per una valutazione in merito, ritenendo motivata, per tutti gli interventi previsti in ex zona B, la richiesta di parere ai sensi dell'art. 5 comma 10 dello stesso decreto. La caratterizzazione delle terre ai fini del contenimento presso impianti autorizzati alla gestione dei rifiuti dovrà prevedere la determinazione del parametro diossine ai sensi del d.m. 27 settembre 2010”.

La conoscenza della “quantità” di diossine presenti nei terreni è stata implementata, oltre alla analisi relative a vari procedimenti edilizi ed a quelle effettuate da Pedemontana, con i campionamenti e le analisi chimiche effettuate per l’elaborazione dell’Analisi di Rischio di cui stiamo parlando, per divenire punto di partenza ineludibile per la nuova pianificazione e la gestione del territorio, e i Sindaci ne terranno conto.

I Risultati dello Studio che oggi è stato presentato confermano che il Rischio (“non elevato e non maggiore di quelli di una persona che vive in qualsiasi altra area a elevato tasso di industrializzazione”) è in questo territorio legato anche alle modalità di esposizione alla diossina: alcune attività più di altre determinano maggiore predisposizione al rischio, specie se prevedono contatto o movimentazione dei terreni, e anche per gli alimenti prodotti in aree dove si sono rilevati significativi livelli di diossina residua, alcuni più di altri, suggerendo l’opportunità di adottare alcune precauzioni al fine di ridurre il Rischio di Esposizione.


La raccomandazione di ARPA che impone l’accertamento e la quantificazione della presenza di diossine ha consentito di definire ambiti dove le attività di escavazione e di movimentazione dei terreni incrementa i fattori di rischio per aerodispersione. Le operazioni che dovessero essere prospettate dovranno quindi prestare la massima precauzione per prevenirla, ma è indubbio che evitare nuovi scavi nelle aree dove si accerta la presenza di diossina (anche al di sotto delle note soglie normative, 10 e 100 ng/eq/kg, relative alla compatibilità con la destinazione d’uso degli ambiti) riduce il rischio di esposizione.

I Comuni di Seveso, Cesano e Desio nella revisione dei loro Piani di Governo del Territorio hanno esplicitato: “In caso di interventi edilizi che comportino l’utilizzo delle terre ricadenti nell’area influenzata dall’incidente ICMESA delimitata come zona B ai sensi della D.C.R. n. II/270 del 7.10.1976, si dovrà prevedere la determinazione del parametro diossine e furani ai sensi del D.M. 27.9.2010”.

Le attività connesse ai prodotti alimentari, quelli che furono oggetto delle prime ordinanze Sindacali del 1976 anche per il Principio di Precauzione, hanno avuto maggiori difficoltà ad essere regolamentate con l’intero settore agricolo, ma soprattutto a definire soglie per le quali esercitare specifiche attenzioni o adottare adeguate precauzioni. Solo con il Decreto del Ministro dell’Ambiente 46/19, entrato in vigore nello scorso giugno, si definiscono i valori di concentrazione dei diversi contaminanti, per i quali devono essere effettuati da parte di ATS controlli sugli alimenti prodotti nelle aree dove si registrano tali superamenti. Anche per Diossina viene definito un nuovo limite/soglia di 6ng/eq/Kg


Nelle scorse settimane abbiamo però verificato con ATS Brianza che non risultano Attività Agricole in tutto il territorio interessato dalla ricaduta “Diossina” e quindi ATS non è nelle condizioni di attivare controlli. I comuni dovranno allora farsi carico di mappare tali attività e segnalarne la presenza, non solo per i controlli di qualità ma anche per un’azione coordinata di informazione sulle buone pratiche agricole da adottare per prevenire il rischio da esposizione. Anche le modalità con cui si svolgono le attività agricole, infatti, incidono quando siano in interazione diretta con i terreni (anche nella filiera dei prodotti destinati all’alimentazione animale, mais e foraggi, ad es). Ma la stessa Analisi di Rischio ribadisce l’adozione di opportune cautele per l’utilizzo dei terreni ad uso allevamento, orticolo e agricolo, anche secondo il principio di precauzione, richiamando nello specifico i prodotti vegetali appartenenti alla famiglia delle cucurbitacee (cocomero, cetriolo, melone, zucca, zucchina) che hanno dimostrato significative capacità di bioaccumulare diossina.

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