domenica 24 ottobre 2021

Omaggio a Livio Colzani, martire della Resistenza. 1921-2021


 

Domenica 31 ottobre 2021 alle ore 11:00

Giardinetto nei pressi della Chiesa di Sant'Ambrogio, Via Livio Colzani, Seregno

 

In occasione del centenario della sua nascita, si terrà una breve commemorazione per ricordare la figura di Livio Colzani, eroe della Resistenza e Medaglia d’Argento al Valore Militare.
 

Maria Adele Frigerio, Presidente dell'ANPI di Seregno ci ha detto: "Ringraziamo l'Amministrazione Comunale per aver accolto la nostra proposta. Spero di vedervi numerosi per rendere omaggio al partigiano cui è intitolata la nostra sezione. Più che mai: ORA E SEMPRE RESISTENZA".
 

Da parte nostra, per ricordarlo, trascriviamo la pagina che Irene Crippa gli ha dedicato nel volume "La vita per l'Italia e per la Libertà" edito nel 1945 dal Raggruppamento Divisioni Patrioti Alfredo Di Dio.

LIVIO COLZANI 


Anche questi è di coloro che non hanno sofferto incertezze.
Nato a Triuggio il 30 Ottobre 1921 (* vedi nota in fondo), nel Settembre del 43 si trovava sotto le armi a Favria Canavese col I° Genio marconisti.
 

Venuto il giorno del dissolvimento, Livio non vede intorno a sè che il volto frenetico, desolato e desolante, della fuga. Senso tragico di decomposizione inarrestabile. Effettivamente qualcosa, soltanto in apparenza sano, si è sfasciato rivelando l'interno putridume. Valori fittizi son crollati, illusioni si polverizzano -- avevano la gocciolina di cattivo sapore nel fondo, come le bolle di sapone loro sorelle.
Con la bocca amara Livio si guarda intorno: tutti, tutti se ne vanno, lasciando armi, divise; chi dunque difenderà la buona causa domani?
Ha deciso: lui resta. Non abbandonerà la sua arma nè si terrà sciolto dal dovere di servire la patria. Ancora sarà soldato d'Italia, vero e legittimo milite dell'onore nazionale, se pure "gli altri" lo diranno fuori d'ogni legge.
 

Con lui rimangono in dieci, a costituire uno dei primissimi nuclei di resistenza nell'Italia oppressa. Nè Livio rifiuta le responsabilità, poichè si assume uffici che impegnano a fondo. Eppure a casa lo conoscono per modesto e schivo, aborrente dal mettersi in vista, persino timido; ma oggi che la carica non significa appagamento di un desiderio ambizioso -- se ambizione c'è, è quella d'esser primo al rischio -- il ragazzo l'accetta lietamente, pur conservando sul volto fine quasi una gentile aria di scusa per essersi "fatto avanti".
A casa comunque non va. E' il padre che lo raggiunge nella macchia canavese dove la vita è tanto aspra ed ansiosa ed eroica, dove il pericolo è il pane quotidiano di quel suo figliolo prode che non vuol tornare.
 

E anch'egli, il padre, respira l'aria forte dei ribelli.
Se aveva in fondo all'anima l'intenzione di portarselo via, il suo Livio, questo è un progetto che rimane ben chiuso laggiù; così alta, fervente, religiosa è la fede del ragazzo che davanti ad essa non si può che condividere e cedere. Il padre ritorna solo.
Inverno 43-44. Neve sotto i passi dei ribelli che stampano orme profonde; la muta fascista ha buon gioco nell'inseguire e nello stanare. Caccia grossa sui monti, fra i villaggi cari ai dipintori degli idilli alpini... I patrioti, coi segugi alle calcagna, non riposano.
6 Marzo, a Castelnuovo Nigra. Il piccolo paese alle falde del Giavino vien circondato dai moschettieri delle Alpi (repubblicani che si sono appropriati di un bel nome per coprire brutte imprese). Dentro, nascosti in una stanza, stanno bloccati due partigiani: Flavio Berrone e Livio Colzani.
I fascisti che hanno frugato, annusato, raspato senza frutto, stanno per andarsene. Sono le 17, quasi sera. I due appiattati già respirano; tra poco saranno liberi.
Invece i foschi segugi piombano su di loro. Sono guidati da una spia.
 

Non perdon tempo. Sulla piazza del paese, Flavio Berrone è subito messo davanti al plotone schierato. Un ultimo sguardo fra i due camerati, Flavio che si congeda, Livio che risponde: -- Coraggio. A fra poco.
Poi la scarica.
Si rivolgono al Colzani:
-- Hai visto che bella fine? Altrettanto a te se non parli. Ma se dici ciò che vogliamo, sarai libero, intendi?
Un'alzata di spalle.
--Dicci dove sono i tuoi soci. Non capisci che ti lasciamo libero? E se vorrai essere dei nostri... va là che non si sta malaccio a fare il repubblicano. Parlerai?
-- No.
Di aver dei compagni non può negare: gli hanno trovato in tasca il ruolino dei nomi; tanto più irritante quindi il rifiuto di rispondere. Lo incalzano.
Un repubblicano, certo il capo, insiste più degli altri; le sue parole di lusinga ripugnano, viscide come rettili. Livio alza fieramente il bel capo:
-- Preferisco la sorte del mio compagno.
Allora il volto vero del nemico si manifesta: abbietto.
Il repubblicano toglie il cronometro dal polso del condannato, poi ringrazia con uno schiaffo... L'anima pur tanto mite della sua vittima reagisce all'insulto vilissimo: due schiaffi contro uno; ma questi sono eroici.
Nessuna replica; il virile coraggio è qualcosa che supera la loro comprensione e li paralizza.
Però Livio sa bene ch'è finita: chiede che gli mandino un prete. Viene il parroco, ma poi i fascisti, che non amano le espansioni spirituali, lo allontanano ed egli è costretto ad assolvere e benedire da lontano...
Il lugubre apparecchio dell'esecuzione si rinnova nella piazzetta montana che ha già raccapricciato un assassinio. La popolazione assiste fremendo. Il condannato che indovina fra quelle anime semplici chi capisce e sente con lui, prega:
-- Portate un saluto speciale alla mia famiglia. E sia fatta la volontà di Dio.
Lo schianto della raffica gli risponde.

(*) Nel testo originale indicato erroneamente "Nato a Seregno il 31 ottobre 1921". Livio divenne cittadino seregnese dal 4 aprile 1933.

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