domenica 14 dicembre 2025

Oggiono, al via la rimozione dei detriti dal torrente Gandaloglio. Il Circolo “Ilaria Alpi” chiede attenzione all’ambiente


Sono in fase avanzata a Oggiono le operazioni di rimozione dei detriti dal letto del torrente Gandaloglio. I lavori, avviati già da alcuni giorni, si concentrano nella zona della cascina Bergamina, dove sono entrate in azione le ruspe incaricate dell’intervento.

Si tratta di un tratto del torrente che, come più volte segnalato dal Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”, conserva ancora elementi di naturalità. Non a caso, durante uno dei sopralluoghi effettuati dall’associazione, è stata osservata la presenza di un esemplare di airone bianco lungo la riva del corso d’acqua, a poca distanza dal cantiere. Un segnale, secondo il Circolo, di come “la natura tenti comunque di resistere all’opera invasiva dell’uomo”, anche in contesti sottoposti a forti pressioni.


Proprio per questo il Circolo Ambiente “Ilaria Alpi” solleva interrogativi sull’impatto complessivo dell’intervento in corso, chiedendosi se, nel progetto di dragaggio del torrente, “siano stati adeguatamente considerati gli aspetti di impatto naturalistico sulle acque, sulla vegetazione spondale, sulla fauna fluviale e sull’avifauna”.

Sui lavori interviene in modo critico Roberto Fumagalli, presidente del Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”: «Ma davvero pensano di poter risolvere i problemi degli allagamenti nella zona del Mognago attraverso il dragaggio del Gandaloglio? È un intervento palliativo, che serve solo a spendere soldi pubblici, rovinando il letto del torrente!»


Secondo Fumagalli, il problema va affrontato con una strategia completamente diversa: «Come abbiamo detto più volte, sono altre le tipologie di provvedimenti da mettere in atto. Servirebbe una tutela assoluta delle aree di esondazione naturale del torrente, ovvero dei prati agricoli su entrambe le sponde, individuandoli come “aree di laminazione naturale”, che sono cosa ben diversa dalle vasche di laminazione e che non necessitano di alcuna opera artificiale».

Il presidente del Circolo sottolinea inoltre che la soluzione sarebbe già insita nella dinamica naturale del corso d’acqua: «È sufficiente favorire, in caso di forti piogge, l’esondazione naturale del torrente nei prati circostanti, prevedendo ovviamente un indennizzo economico per le aziende agricole, per l’eventuale perdita del raccolto in occasione delle piene. Invece qui ci si illude di risolvere il problema degli allagamenti solo con l’intervento delle ruspe: un danno ecologico, unito allo spreco di denaro pubblico».


Il Circolo ricorda inoltre che tutta la zona del Mognago è già classificata dal Piano di Governo del Territorio di Oggiono come “area potenzialmente interessata da alluvioni frequenti”, e che in tale perimetro rientra anche l’area industriale.

Su questo punto Fumagalli conclude: «Ecco dove sta il vero problema degli allagamenti: l’aver permesso, nei decenni passati, la costruzione dei capannoni nelle aree di esondazione naturale del Gandaloglio. Questa pessima scelta urbanistica non si cancella di certo con il dragaggio del torrente».

E aggiunge: «Occorre trovare soluzioni urbanistiche prima che interventi sull’incolpevole torrente: niente chiuse, arginature artificiali, vasche di laminazione e dragaggi, bensì un piano paesistico che tenga conto anzitutto dei problemi di incompatibilità ambientale e urbanistica».

 


 

Palloncini e ambiente: il Circolo “Ilaria Alpi” plaude all’ordinanza del Comune di Lipomo


Il tema del lancio dei palloncini negli eventi pubblici non è nuovo per il Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”, che da tempo porta avanti una campagna di sensibilizzazione sui danni ambientali legati a questa pratica. Già in passato l’associazione era intervenuta più volte, in particolare in occasione di eventi prenatalizi nel Triangolo Lariano, chiedendo a Comuni e organizzatori di rinunciare al lancio dei palloncini e di adottare alternative rispettose dell’ambiente.

In un post che abbiamo pubblicato lo scorso 1° dicembre (leggi qui), il Circolo aveva ricordato come i palloncini, una volta dispersi nell’ambiente, “determinano una dispersione di plastiche e, con la loro degradazione, di microplastiche che creano danni all’ambiente, oltre a costituire un possibile rischio per la fauna”, sottolineando che tali pericoli riguardano anche i palloncini in lattice definiti impropriamente “biodegradabili”.

In questo contesto si inserisce ora con particolare rilievo l’ordinanza recentemente emanata dal Comune di Lipomo, che vieta il lancio dei palloncini sul territorio comunale. Un provvedimento accolto con favore dal Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”, che in una nota esprime il proprio plauso all’amministrazione comunale.

“Come Circolo Ambiente ‘Ilaria Alpi’ ci complimentiamo con il sindaco di Lipomo per l’emanazione dell’ordinanza che vieta il lancio dei palloncini”, scrive l’associazione, richiamando anche le motivazioni contenute nel testo del provvedimento. L’ordinanza cita infatti studi internazionali che “hanno dimostrato le conseguenze dannose dei frammenti di palloncini abbandonati nell’ambiente” e ricorda che in molti Paesi i lanci massivi sono già stati vietati “a causa dell’inquinamento e del pericolo che i palloncini pongono alla vita acquatica”.

Secondo il Circolo, uno degli aspetti più gravi è il rischio per la fauna: i frammenti di palloncini “finiscono spesso per essere ingeriti da animali acquatici e terrestri, da altri organismi presenti in natura e da diverse specie di uccelli, causandone purtroppo il decesso”.

Pur riconoscendo che esistono problemi ambientali di portata più ampia, l’associazione ribadisce che anche gesti apparentemente marginali possono avere conseguenze concrete. “Siamo ovviamente consapevoli che esistono problemi ambientali ben più gravi, legati all’inquinamento e al consumo di suolo. Tuttavia anche l’uso dei palloncini può avere conseguenze negative sull’ambiente e sugli animali”, si legge nel comunicato.

Da qui l’auspicio che il provvedimento di Lipomo non resti un caso isolato. Il Circolo Ambiente “Ilaria Alpi” invita infatti altri Comuni a seguire questo esempio, ricordando che “per far divertire i bambini esistono molte alternative ai palloncini, capaci di garantire il gioco e la festa senza inquinare l’ambiente”.

Una posizione coerente con l’attività portata avanti negli ultimi anni dall’associazione, che ha più volte sollecitato l’introduzione di divieti analoghi, citando anche le ordinanze già adottate da Comuni come Alzate Brianza e Monza. L’ordinanza di Lipomo viene quindi vista come un ulteriore passo avanti verso una maggiore attenzione ambientale anche nelle manifestazioni pubbliche.

sabato 13 dicembre 2025

San Primo, la montagna che chiede futuro: cosa ci insegna il nuovo rapporto FAO


Il Monte San Primo, il più alto dei rilievi del Triangolo Lariano, è tornato al centro dell’attenzione. Non solo per il progetto — molto discusso — di nuovi impianti sciistici, ma perché il suo destino racconta qualcosa di più grande: come le montagne italiane stanno cambiando e come dovremmo cambiare con loro.

Da anni, sul San Primo la neve è sempre meno. Le stagioni si accorciano, l’inverno assomiglia sempre più a una lunga mezzastagione. Eppure qualcuno continua a immaginare un futuro fatto di tapis roulant e innevamento artificiale, mentre un fronte ampio di associazioni ambientaliste prova a ricordare l’evidenza: la montagna non è più la stessa.

Non è solo una battaglia locale. Lo conferma il recente rapporto della FAO, dedicato alle soluzioni per l’adattamento climatico nelle regioni montane. Un documento che parla di catene montuose lontane e vicine, dall’Himalaya alle Ande, ma che descrive con sorprendente precisione proprio ciò che sta accadendo sulle nostre Prealpi.

Per scaricare la pubblicazione cliccare qui.

Il rapporto FAO mostra un quadro chiaro: i cambiamenti climatici stanno alterando profondamente gli ecosistemi montani, con conseguenze su acqua, vegetazione, suoli e turismo. In particolare, alle quote moderate come quelle del San Primo, la neve è destinata a ridursi drasticamente nei prossimi decenni.

In questo contesto, investire ancora nel vecchio modello dello sci di massa rischia di essere — come scrivono gli esperti — un esempio di maladattamento: soluzioni costose che non rispondono alla crisi ma la amplificano.

Al contrario, i territori che scelgono di diversificare l’offerta, puntando su turismo non dipendente dalla neve, sulla tutela dei paesaggi e sulle attività outdoor tutto l’anno, stanno già mostrando una maggiore resilienza.

La pagina del rapporto FAO che analizza il caso del Parco del Gran Paradiso

Tra i casi analizzati dalla FAO c’è anche quello del Parco Nazionale del Gran Paradiso, dove allevatori, ricercatori e amministratori stanno lavorando insieme per capire come adattare la gestione dei pascoli alle nuove condizioni climatiche. Non investono più in infrastrutture rigide, ma in soluzioni flessibili: sistemi idrici migliorati, gestione attiva del territorio, percorsi condivisi con le comunità locali.

Sulle Prealpi — San Primo compreso — queste indicazioni valgono doppio. Qui non servono tappeti mobili e cannoni sparaneve, ma visioni capaci di interpretare la montagna che cambia.

Le associazioni ambientaliste che sono scese in campo non chiedono immobilismo. Al contrario, propongono un modello alternativo che coincide con le indicazioni della FAO: un turismo leggero, diffuso, tutto l’anno.

Un San Primo fatto di:

  • sentieri, percorsi didattici, itinerari naturalistici;
  • valorizzazione dei prati e delle antiche attività agro-pastorali;
  • salvaguardia paesaggistica e faunistica, anche tramite l'istituzione di un Parco di tutela;
  • recupero ambientale e tutela degli spazi aperti;
  • educazione al clima e alla biodiversità.

Un modo di vivere la montagna che ne rispetta i ritmi, e che può generare economia senza compromettere ciò che rende il San Primo unico: la sua natura.

Il San Primo oggi è un simbolo. Una piccola montagna che ci costringe a una domanda grande: vogliamo continuare a inseguire un passato che non tornerà, o vogliamo costruire un futuro resiliente?

Il rapporto FAO indica chiaramente la direzione: innovare, adattarsi, ascoltare le comunità, proteggere i paesaggi.
È un invito valido per le Alpi come per le nostre Prealpi. E il San Primo, con la sua bellezza e le sue fragilità, potrebbe diventare un modello positivo: un luogo dove il cambiamento climatico non diventa una condanna, ma una spinta a immaginare un nuovo modo di vivere la montagna.

venerdì 12 dicembre 2025

Giornata della Montagna: il CAI Calco sceglie il San Primo, simbolo dell’ambiente da salvaguardare


In occasione della Giornata Internazionale della Montagna 2025, il CAI – Sezione di Calco ha scelto il Monte San Primo, vetta più alta del Triangolo Lariano con i suoi 1686 metri, per una camminata dal forte valore simbolico. L’iniziativa, svoltasi ieri 11 dicembre, è stata pensata come un momento di riflessione condivisa sulla crescente fragilità degli ecosistemi montani.


Il tema indicato dalla FAO per l’edizione di quest’anno, Glaciers matter for water, food and livelihoods in mountains and beyond, ha posto l’accento sul rapido arretramento dei ghiacciai e sulle ripercussioni della crisi climatica. Un contesto che, secondo il CAI Calco, richiede una frequentazione più consapevole delle montagne e politiche efficaci per la tutela degli ambienti d’alta quota.


Negli ultimi anni il Monte San Primo è finito al centro del dibattito pubblico per via di progetti turistici considerati poco sostenibili. Proprio per questo è diventato un simbolo della necessità di preservare l’autenticità dei territori alpini, riconoscendone il valore ambientale, paesaggistico e culturale.


L’escursione, guidata da un’operatrice TAM (Tutela Ambiente Montano) della Sezione, ha coinvolto soci e cittadini in un clima di partecipazione e responsabilità. Un gesto semplice ma significativo, volto a ricordare che la montagna è un patrimonio comune che richiede impegno e attenzione quotidiani. Come ribadiscono i promotori, proteggerla oggi è più urgente che mai.

È uscita la newsletter di dicembre dell’Osservatorio della Valle del Seveso

La copertina della newsletter di dicembre 2025

È disponibile il nuovo numero dell’Osservatorio della Valle del Seveso, l’appuntamento mensile dedicato all’informazione, alla cultura ambientale e alla costruzione del futuro Parco Fluviale del Seveso.
Il fascicolo di dicembre è particolarmente denso e affronta temi cruciali per il territorio: la mancata attuazione della delibera regionale sul Parco Fluviale (“Una delibera in cerca di autore”), il progetto RAM sull’aeroporto di Bresso e le sue criticità, la Ciclovia della Valle del Seveso, un viaggio tra i parchi fluviali più innovativi d’Europa, una riflessione sulla nuova Direttiva europea sul ripristino della natura, un racconto storico sul Seveso e i consueti suggerimenti di lettura.

Il focus: il Parco GruBrìa, protagonista di questo numero

Il numero dedica particolare attenzione al Parco GruBrìa, sia nel primo articolo di A.C. sia nella lunga intervista a Federica Gorini, vicepresidente del Parco.
La situazione attuale è infatti cruciale: mentre il Consiglio regionale ha votato l’avvio del Parco Fluviale della Valle del Seveso, l’assessorato sembra concentrarsi esclusivamente sul riconoscimento regionale del Parco GruBrìa, lasciando in sospeso l’obiettivo unitario.

Nell’analisi di A.C. emergono parole nette: a fronte dell’impegno della Regione per un progetto che abbracci tutta la valle, negli incontri ufficiali «la dirigente… ci dice che stanno lavorando per dare veste regionale al Parco del Grubria, solo a questo e a nient’altro».

Il rischio, sottolinea l’autore, è quello di fermarsi a un “tempo parziale e monco”: «Il Parco Fluviale della Valle del Seveso, voluto dal Consiglio regionale, è un progetto che sembra ancora in cerca d’autore».

Tuttavia l’articolo si chiude con un invito alla fiducia e alla vigilanza: è un passaggio critico, forse una fase di crescita, ma serve che la società civile continui a chiedere una visione realmente unitaria.

Il contributo più approfondito del numero è l’intervista alla vicepresidente Federica Gorini, che ricostruisce con grande chiarezza la funzione attuale del Parco GruBrìa e il suo ruolo nella costruzione del futuro Parco Fluviale.

La vicepresidente ricorda che il GruBrìa è «un parco diffuso – a macchia di leopardo – volto a tutelare e ricucire i pochi spazi aperti rimasti in un’area… fino al 60% urbanizzata e con più di 350.000 abitanti».

Due gli obiettivi chiave per il quinquennio 2025–2030:

  • continuare la tutela e la rigenerazione ambientale;
  • promuovere l’istituzione del Parco Regionale del Seveso, del Villoresi e della Brianza Centrale.

Nell’intervista c’è una forte attenzione al ruolo della cittadinanza attiva: «Ascoltare chi vive gli spazi… è fondamentale. La mobilitazione dal basso ha contribuito a far emergere criticità e potenzialità, e a promuovere il Parco fluviale del Seveso».

Dove siamo arrivati oggi? Gorini lo definisce senza esitazioni: «Siamo al punto del non ritorno». I nove Comuni del PLIS stanno infatti per approvare in Consiglio comunale la delibera per la perimetrazione e l’adesione al nuovo Parco Regionale.
Una volta raccolte le delibere, il Consorzio Parco GruBrìa invierà alla Regione la richiesta formale di istituzione del Parco, aprendo la strada alla Conferenza Programmatica e poi alla legge regionale.

L’intervista si chiude con un appello potente ai cittadini: «Mai come ora siamo vicini all’obiettivo… La voce dei cittadini e delle associazioni diventa fondamentale… L’istituzione del Parco garantirebbe un vero ‘serbatoio di salubrità’ in un ambito fortemente inquinato e densamente popolato».

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giovedì 11 dicembre 2025

Il cuore verde della Brianza è fragile: l’appello degli Amici del Parco GruBrìa sulla Variante PTCP

Brianza, dove il verde resiste a fatica: il racconto di un appello per non perdere l’ultimo respiro del territorio


Chi vive in Brianza lo sa: qui tutto è vicino, tutto è denso, tutto è pieno.
Case abitate e disabitate, condomìni cresciuti uno accanto all’altro come funghi, capannoni, rotonde, strade, parcheggi. Perfino gli spazi “vuoti”, quando li si guarda bene, spesso sono parcheggi. Lo sguardo corre e si ferma solo quando incontra una macchia di verde, un piccolo campo sopravvissuto, una fascia di alberi che sembra dire: “sono ancora qui, per ora”.

È proprio a quelle macchie di verde che pensa l’associazione Amici del Parco GruBrìa, ogni volta che si parla di piani urbanistici, varianti e nuove regole del territorio. Perché il PLIS GruBrìa – una collana di prati, valli e boschetti – è uno degli ultimi polmoni verdi rimasti tra Monza e Milano. Non un grande parco, non un parco “da cartolina”: piuttosto un mosaico fragile di spazi aperti che ancora resistono, incastrati dentro una Brianza che in settant’anni ha perso più del 60% dei suoi terreni agricoli.

Ed è per questo che, davanti alla Variante 2025 al PTCP provinciale, gli Amici del Parco non sono rimasti a guardare.

La Provincia ha definito le nuove norme come un insieme di “modifiche minori”. Ma per chi vive la Brianza, questa parola – minori – suona stonata.

Quando ti muovi in un territorio dove:

  • Lissone ha consumato oltre il 71% del suolo,
  • Muggiò più del 62%,
  • Seregno il 54%,
  • e così via fino a una media del 58% nei comuni del Parco,

beh, allora ti accorgi che non esiste davvero nulla di “minore”.

È come dire che aggiungere ancora una goccia in un vaso già pieno non farà differenza. Tutti sappiamo come va a finire. Basta poco. A volte basta pochissimo.

Gli Amici del Parco GruBrìa hanno spiegato una cosa semplice, quasi intuitiva, ma troppo spesso ignorata: quando un territorio è già saturo, anche le piccole scelte possono avere grandi conseguenze.

Le osservazioni inviate alla Provincia raccontano proprio questo:

  • che nuove possibilità edificatorie, anche dentro il territorio già urbanizzato, possono spingere verso la costruzione di aree sensibili, come scarpate e valli;
  • che aprire alla possibilità di impianti energetici nelle zone agricole o nella Rete Verde, senza stabilire limiti e regole, rischia di indebolire i corridoi naturali ancora attivi;
  • che introdurre una nuova categoria di “Servizi di Interesse Provinciale” senza spiegare cosa siano e dove possano andare significa tenere la porta socchiusa a interventi potenzialmente molto impattanti.

E la Brianza, si sa, non sopporta più porte socchiuse.

Ogni varco può diventare un’apertura, e ogni apertura può tradursi in un nuovo pezzo di suolo perso. Suolo che una volta coperto non tornerà mai più indietro.

Il Parco GruBrìa non è solo un luogo: è una funzione, un sistema di equilibrio. Le sue valli drenano l’acqua quando piove troppo. Le sue scarpate regolano il flusso superficiale. I suoi corridoi ecologici fanno da ponte fra aree frammentate.

Sono quelle cose che non si vedono finché non scompaiono, e quando scompaiono è sempre troppo tardi.

È qui che le osservazioni dell’associazione diventano un racconto più grande: quello di un territorio che ha bisogno di continuità, di connessioni, di respiro. Un racconto che guarda anche al futuro Parco del Seveso, immaginando un’unica grande dorsale verde capace di tenere insieme Brianza e area metropolitana.

Tra i vari contributi, c’è anche una proposta molto concreta:

  • stabilire una soglia del 40% come limite massimo di suolo consumato oltre il quale non si può più costruire.

Un valore simbolico ma anche utile: è la media provinciale indicata da ISPRA. E guardarlo oggi, quando quasi tutti i comuni del PLIS sono già ben oltre, significa prendere coscienza di una cosa evidente: abbiamo già superato molte soglie di sicurezza.

Gli Amici del Parco chiedono una Valutazione Ambientale Strategica completa. Non per bloccare tutto, non per dire “no” a prescindere, ma per dire: “Fermiamoci un momento. Guardiamo cosa stiamo facendo. Valutiamo davvero le conseguenze.”

Una VAS completa permette proprio questo: capire cosa succede non solo domani, ma fra dieci, venti, trent’anni. Valutare gli effetti cumulativi, immaginare scenari alternativi, misurare gli impatti reali e non quelli presunti.

Perché la Brianza non è più il territorio espansivo di una volta: è una terra arrivata al limite, che chiede attenzione, cura, responsabilità.

Alla fine, l’osservazione più importante degli Amici del Parco non è neppure scritta esplicitamente nel documento, ma si legge fra le righe: il PLIS GruBrìa è prezioso perché è fragile.

Non è un grande parco protetto, non è un’oasi intoccabile: è un territorio “normale”, fatto di campi, alberi, siepi, piccoli ruscelli, lembi di natura rimasti incastrati tra le case.

È proprio questo a renderlo importante. Non è un monumento: è vita quotidiana. È ciò che resta, e ciò che potrebbe tornare a crescere, se glielo permettessimo.

Per questo ogni goccia conta. Per questo ogni modifica va pesata. Per questo ogni scelta deve essere consapevole.

E forse è proprio così che si racconta davvero la Brianza di oggi: una terra densissima che, nonostante tutto, ha ancora un cuore verde che vuole continuare a battere.

Le principali osservazioni degli Amici del Parco GruBrìa sulla Variante 2025 al PTCP

• Territorio già saturo
Nei comuni del PLIS il consumo di suolo supera in media il 58%: in queste condizioni anche piccole variazioni normative possono generare effetti significativi.

• Modifiche non “minori”
La Variante introduce deroghe, rilocalizzazioni e nuove possibilità edificatorie che, in un contesto così fragile, richiedono una Valutazione Ambientale Strategica completa.

• Rischi per valli, scarpate e corridoi ecologici
Le nuove norme potrebbero consentire interventi in ambiti geomorfologicamente sensibili, aumentando vulnerabilità idraulica ed ecologica.

• Impianti FER e nuovi servizi senza criteri chiari
La possibilità di installare impianti energetici e “Servizi di Interesse Provinciale” nella Rete Verde e negli AAS non è accompagnata da definizioni, limiti e parametri tecnici.

• Necessità di strumenti di compensazione più rigorosi
L’associazione chiede un modello metodologico chiaro e misurabile per valutare la qualità ecologica delle trasformazioni e garantire compensazioni efficaci.

• Proposta di una soglia di consumo di suolo
Suggerito un limite orientativo del 40% di suolo consumato, oltre il quale non dovrebbero essere consentite nuove trasformazioni.

• Richiesta finale
Alla luce delle criticità evidenziate, gli Amici del Parco GruBrìa chiedono che la Variante al PTCP sia sottoposta a VAS completa, per garantire trasparenza e tutela del territorio.


Info:

  • Gli Amici del Parco GruBrìa si ritrovano ogni venerdì sera, alle ore 21, presso il Circolo Cooperativo Libertà, via Leonardo da Vinci 30, Seregno;
  • e-mail: amiciparcogrubria@gmail.com

lunedì 8 dicembre 2025

La magia dei fontanili: in 50 alla tradizionale passeggiata nella Riserva Naturale della Fontana del Guercio


Lunedì, 8 dicembre 2025, si è svolta la ormai tradizionale passeggiata organizzata dal Comitato Parco Regionale Groane-Brughiera alla Fontana del Guercio, un appuntamento che, anno dopo anno, continua a richiamare l’interesse di appassionati e curiosi.

 


L’edizione di quest’anno è stata un vero successo: tra le 40 e le 50 persone hanno preso parte all’iniziativa, un numero decisamente superiore rispetto agli anni passati, quando spesso non si superava la decina di partecipanti. Un risultato sorprendente, soprattutto considerando il freddo tipico del periodo, che solitamente scoraggia le uscite all’aperto.


A favorire la partecipazione sono stati certamente il bel tempo e il fascino intramontabile della Riserva Naturale della Fontana del Guercio, un’area unica che ospita ben 14 fontanili, capaci di stupire in ogni stagione. A rendere ancora più coinvolgente l’esperienza sono state le spiegazioni delle due guide:

  • Tiziano Grassi, che ha illustrato le peculiarità naturalistiche e geologiche dell’area;
  • Zeno Celotto, che ha accompagnato i presenti in un viaggio attraverso le vicende storiche che permeano quei luoghi, dalle antiche delimitazioni in pietra dei fontanili alla roggia, fino alla suggestiva Testa del Nan.


Ha portato i saluti delle GEV del Parco anche Fulvio Caronni, volontario AIB (Antincendio Boschivo), mentre tra i partecipanti era presente il neo Presidente del Parco Regionale, Claudio Meroni.


Il percorso, divenuto ormai un classico, ha attraversato la riserva per poi salire verso la località Pozzolo e proseguire fino a Cascina Sant’Ambrogio, dove il Comitato – presieduto da Tiziano Grassi – ha offerto ai partecipanti un piacevole rinfresco a base di Pan Tramvai.


I commenti finali sono stati unanimi: tutti i presenti si sono detti entusiasti della bellezza del luogo, un angolo di natura che oggi possiamo ammirare grazie al lavoro svolto cinquant’anni fa dagli Amis de la Funtana, che ripulirono l’area da una grave situazione di degrado e la salvarono da un destino di discarica a cielo aperto.


Per chi desiderasse approfondire la storia della Fontana del Guercio e del territorio circostante, si segnalano due pubblicazioni ricche di spunti:

  • “Acque, fontanili, nobili e banditi nella Brianza del XVI e XVII secolo” di Chiara Ballabio e Zeno Celotto, edito da GWMAX;
  • “La Fontana del Guercio a cinquant’anni dal recupero” di Tiziano Casartelli e Luigi Tagliabue, stampato dall’Associazione Museo “Nel Novecento” di Carugo.


Una giornata ricca di natura, storia e comunità, che conferma l’importanza di custodire e valorizzare questo prezioso patrimonio ambientale.