venerdì 30 maggio 2025

Seregno divisa in due: il Giro d’Italia evidenzia una frattura che a Sant’Ambrogio è permanente

Il passaggio a livello di via Bottego, spesso chiuso

Riceviamo e pubblichiamo


Mi chiamo Paola e vivo da oltre vent’anni nel quartiere Sant’Ambrogio. Questo pomeriggio [ndr: giovedì 29 maggio 2025], durante il passaggio della tappa del Giro d’Italia, mi sono ritrovata come tanti a dover riorganizzare la mia giornata: strade chiuse, traffico bloccato, città divisa in due. Un disagio, certo, ma passeggero. Eppure, per noi che abitiamo da questa parte della ferrovia, quella separazione temporanea è stata uno specchio di una realtà quotidiana.

Il nostro quartiere è fisicamente separato dal centro cittadino dalla linea ferroviaria. L’unico collegamento diretto è rappresentato da un passaggio a livello che, oltre a essere spesso chiuso per il passaggio dei treni, è destinato a venire eliminato definitivamente. Dopo di che? Cosa resterà per collegarci al resto della città?

Chi vive qui conosce bene la sensazione di essere ai margini. Anche all’interno del nostro stesso quartiere, c’è una zona ancora più isolata: il Meredo, racchiuso tra due linee ferroviarie, senza veri collegamenti e con prospettive ancora più incerte. Il rischio è che questa parte della città diventi una periferia dimenticata, una terra di mezzo priva di collegamenti efficienti.

Il passaggio del Giro è stato un evento festoso, certo, ma ha anche mostrato con estrema chiarezza quanto una divisione infrastrutturale possa condizionare la vita delle persone. Per noi, quel confine tracciato dalle transenne non è un’eccezione: è la norma.

Mi auguro che questa riflessione venga raccolta da chi amministra la città. Non basta riconoscere l’isolamento, serve un piano concreto per superarlo. Serve un sottopasso, un collegamento sicuro, un’idea di città che non lasci indietro nessuno.

2 commenti:

  1. Mi è piaciuto molto il parallelo tra le barriere temporanee imposte per il passaggio del Giro d’Italia e quelle permanenti rappresentate dalla linea ferroviaria. Colpisce il fatto che, nonostante siano passati tanti anni, non si sia ancora trovata una soluzione concreta per migliorare il collegamento con il centro città.
    È vero che esistono il sottopasso pedonale di via Magenta, quello della stazione ferroviaria e il collegamento con via Nazioni Unite, ma lo sbocco di via Bottego resta, a mio avviso, il più strategico e necessario per garantire un accesso diretto e funzionale al centro.
    Mi chiedo: come potrebbe essere realizzato un passaggio in quella zona? Ci sono progetti allo studio o proposte in discussione? Qualcuno ha idee o suggerimenti su come superare questo storico ostacolo?

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  2. Cari amici di Brianza Centrale,

    scrivo queste righe dopo un pomeriggio trascorso camminando tra le strade che frequentavo da bambino. Ogni tanto torno a Seregno per salutare vecchi amici, e questa volta ci siamo ritrovati a passeggiare nei luoghi della mia infanzia, nella zona del Crocione – che oggi chiamano quartiere Sant’Ambrogio.

    All’inizio non era una passeggiata nostalgica. Ma strada dopo strada, qualcosa ha cominciato a cambiare dentro di me: mi sono accorto dei cambiamenti, uno dopo l’altro. Non improvvisi, non clamorosi, ma continui. E soprattutto, graduali. Così graduali che quasi non li avevo notati.

    Da bambino ricordo prati che sembravano infiniti, sentieri che si inoltravano tra gli alberi, orti curati con pazienza. I miei nonni mi portavano a raccogliere i gelsi, o a osservare le galline razzolare dietro le cascine. Tutto sembrava più lento, e anche il paesaggio aveva un suo respiro.

    Oggi quei prati sono diventati parcheggi. I sentieri, interrotti da recinzioni o trasformati in strade. Dove una volta c’era un campo, ora c’è un complesso di villette con le siepi tutte uguali. Nulla di eclatante, certo. Ogni costruzione ha avuto la sua logica, la sua necessità. Un supermercato, poi un’officina, un magazzino, un altro negozio. Un pezzo alla volta.

    Ed è proprio questo che mi ha colpito: non c’è stato uno strappo, ma una lenta erosione. Ogni trasformazione, presa singolarmente, sembrava innocua. Ma oggi, il paesaggio che ricordavo non esiste più. È stato sostituito da qualcosa di funzionale, ordinato, ma senz’anima. E la cosa più inquietante è che tutto questo è successo sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno.

    Non voglio idealizzare il passato, né condannare il presente. Ma sento il bisogno di fermarmi un attimo e dire ad alta voce che qualcosa si è perso. Non solo spazio verde, ma anche identità, memoria, orientamento.

    Mio nipote crescerà in questa Brianza nuova, fatta di rotonde, centri commerciali e zone industriali. E mi chiedo se riuscirà anche solo a immaginare com’era prima. Se saprà cosa significava “uscire a piedi” e incontrare un campo vero, non un prato decorativo. Se saprà distinguere un bosco da una zona verde “attrezzata”.

    Forse è ancora possibile trovare spazio per il racconto, per la consapevolezza. Anche solo per ricordare da dove veniamo. E chiederci – con un po’ di coraggio – dove vogliamo andare.

    Un ex seregnese che osserva

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