Immagine tratta da "La Brianza", anno 1900 |
Nel 1947 il settimanale "Il Lambro", in occasione del "Mese della Brianza" organizzò un concorso per un articolo di folclore, di letteratura o di storia su Monza e Brianza.
Risultarono vincitori a pari merito:
"Brianza e brianzoli" di Giovanni Meda;
"Itinerari monzesi" di Angelo Vergani.
Passati 73 anni li vogliamo omaggiare con una nuova pubblicazione. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato il primo dei due articoli (lo trovate qui). Il secondo lo trovate qui sotto.
Itinerari monzesi
di Angelo Vergani
da "Il Lambro" del 29 giugno 1947
E' una bella giornata primaverile piena di sole, con una brezza dolce che scuote leggermente le fronde degli alberi. Intendiamoci, non una giornata di questa primavera, così pigra, così restia a mostrare i suoi colori, ma una primavera di anni passati, dell'anno scorso, luminosamente bella.
E' appunto in questa giornata, che essendo in libertà, compio una passeggiata dentro e fuori le mura di questa Monza, come un itinerario che vuole essere vario e mi accorgo che diventa ben presto obbligato, perché la mia volontà mi porta decisamente verso mete fisse.
Sono, nel Parco, ed inseguo il sole che si cela e si scopre frammezzo agli alberi come se giocasse a rimpiattino e cerco di uscire verso le Grazie Vecchie e, mentre cammino, fantastico e fantasticando mi sembra di vedere Mosè Bianchi, Borsa, Spreafico che, seduti all'ombra di una quercia, ritraggono sulla, tela i colori vivaci e belli di questo piccolo paradiso. Non ci sono più quei vecchi cittadini barbuti, maestri nell'arte, veri monzesi, ma il parco è pieno di loro. Il cancelletto aperto, il ponticello sul Lambro, mi richiamano alla realtà ed eccomi ormai diretto verso la città. Lasciando alle spalle l'oasi di pace del convento francescano, ma non mi è possibile frenare là fantasia. Questa deve essere ad un dipresso la strada che Lucia, di manzoniana memoria, percorreva quando venne rapita dai
bravi dell'Innominato, capeggiati dal Nibbio. In un attimo la mia mente ha già ricostruita la scena, o meglio un'interpretazione mia della medesima, e scruto sulla strada se mai vedessi una carrozza sospetta. Ma un camion rombante mi dice che siamo nel 1947 e non nel 1629.
Entro nel grosso dell'abitato per una delle antiche porte che davano accesso alla città medioevale, la Porta De Gradi l'ultima che venne abbattuta. Allora la città si presentava con aspetto ben diverso al viaggiatore proveniente dal contado. Le sue torri, numerosissime (forse trecento), le davano un'aspetto fiero e temibile. Di fianco al Lambro il Palazzo di Giustizia mi ricorda, col suo colonnato, l'antico Ospedale di San Gerardo che sorgeva in quel punto, colla minuscola chiesa delle Grazie, la quale ora non è che un pio ricordo. Ma l'Arengario severo mi spinge a ritroso negli anni, all'epoca Comunale, in cui il nostro Comune ha scritto pagine di storia. Sorto sul modello del Palazzo della Ragione della vicina Milano, era come in tutti i Comuni, il simbolo della città. Qui, il popolo emanava le leggi che governavano il vivere civile; qui le Associazioni Artigiane, le Arti, tenevano le loro riunioni presiedute da Priori; qui, i mercanti dettarono ordinamenti commerciali che vennero più tardi copiati dentro e fuori di Italia; da qui si partiva verso i fondachi di Parigi, di Liegi, di Amsterdam, di Londra, dove la «Lombard Street» ricorda, i mercanti lombardi e monzesi che là avevano le fornitissime botteghe. Ma non posso soffermarmi a lungo qui, i piedi mi portano in giro, in via Lambro, dove la vecchia torre, denominata dal popolo «Punt scur», ricorda la dominazione longobarda; anzi il popolo vuole che fosse addirittura l'abitazione della Regina Teodolinda. Vicino troneggia la mole del Duomo, opera possente, cara ai monzesi che ne sono giustamente orgogliosi. Quasi per abitudine entriamo per ammirare i tesori d'arte che esso racchiude e che conosciamo come vecchi amici. Fuori la facciata mondata di sole, così elegante nella striatura chiaroscura del marmo, con quello stupendo rosone, con la loggetta civettuola sembra che Matteo da Campione, il costruttore, ci fermi, imponendoai di ammirare l'opera sua. Un bassorilievo del portale ci assicura l'antichità del tesoro. A fianco il possente e svelto campanile del Pellegrini, caro ai monzesi non meno delle sue campane, dal suono così armonioso, che tutti ci invidiano. L'interno ci investe colla sua penembra, ed istintivamente gli occhi girano in cerca delle cose note: a sinistra il battistero del Pellegrini, ricamo marmoreo, dietro il quale un ottimo affresco rappresenta il battesimo di Adaloaldo; la pala dell'altare ci mostra una Visitazione del Guercino. Più avanti la cappella del Corpus Domini col ciborio del Pellegrini e la tela del Panfilo colla cena di Emmaus. A destra la cappella gentilizia ricca di stucchi dorati e di stemmi delle famiglie che ebbero il primato in Monza. E poi la cantoria di Matteo da Campione così bella; verso l'uscita della Canonica un rilievo, pure di Matteo mostra la incoronazione di Teodolinda. E poi l'altare maggiore, elegante neoclassico dell'Amati, col ciborio corinzio e presso la sacristia, chiusa dalla bella cancellata del Beltrami, la cappella della regina Teodolinda affrescata dagli Zavattari, con un bellissimo esempio, unico a Monza, di pittua ciclica, che narra fatti della vita della regina longobarda. Quanta storia della nostra città è rappresentata in questo stupendo dipinto, forse il massimo monumento pittorico del quattrocento lombardo.
Dirimpetto tre lapidi nere, una delle quali ricorda che Napoleone cinse la Ferrea Corona, e su, in alto, nella navata centrale, alla congiunzione degli archi sopra le colonne, alcuni medaglioni rappresentano i maggiori dei 44 sovrani fra re e imperatori che cinsero la corona di Teodolinda.
Sono uscito dal Duomo, a passeggio lungo il tratto del Lambro prossimo ai «molini» ed anche questo piccolo fiume mi ricorda qualche cosa del passato monzese. Lungo queste rive correvano le fortificazioni del «castrum» romano, sorto posteriormente in difesa della borgata di Modicia, fondata forse dai Greci venuti qui attraverso la Balcania e l'Istria, guidati, secondo la leggenda, dallo stesso Ercole, (da qui il culto dei «modiciates» per Ercole, al quale tributavano feste antuali con giochi atletici della gioventù. Una prova dell'origine greca sarebbe appunto questo culto per Ercole, mentre nella vicina e romana Mediolanum si adoravano Giove e Vesta) e che coll'invasione dei Galli divenne un'oppidum.
E' finita questa passeggiata primaverile, che mi ha portato attraverso I secoli fino alla prima Monza, la Monza greca ,e poi gallica e romana fino alla capitale Longobarda, alla Monza dei liberi Comuni, alla Monza ottocentesca cara ai nostri nonni.
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico... Si, c'è tutta la storia, la vita di questa antica città sempre giovane, c'è in questo sole tutta la gloria di questa nostra gente umile e grande, vera gente italiana che ha dato lustro alla città, alla patria, si che il suo nome e la sua fama di città laboriosa e industre è corsa fuori, nel mondo, a testimoniare davanti a tutti la grandezza e la luce della nostra civiltà.
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