giovedì 4 novembre 2010

WWF: 5 azioni urgenti per difenderci dalle alluvioni. Il dissesto nasce da malagestione.

La causa principale del diffuso dissesto idrogeologico è la quotidiana “malagestione” dei fiumi e dei versanti, non tanto il fatto che in poche ore in molte parti d’Italia è caduta l’acqua che sarebbe dovuta cadere in un mese. Le intense piogge di questi giorni non bastano infatti a giustificare il continuo stato di calamità naturale in cui si trova il nostro territorio.

Per risolvere il problema è necessario superare la logica emergenziale d’intervento e per questo il WWF ritiene fondamentale e urgente:
  1. Istituire le Autorità di distretto, come previsto dalle direttive europee (dir 2000/60/CE “Acque”, 2007/60/CE “Rischio alluvionale”), conferendo loro un ruolo vincolante per il coordinamento delle misure e degli interventi di difesa del suolo e di qualità delle acque a livello di bacino idrografico;
  2. Riferirsi al bacino idrografico – e non ai confini amministrativi delle Regioni – per qualsiasi programma di difesa del suolo, manutenzione del territorio e di tutela e gestione delle acque;
  3. Ripristinare i finanziamenti ordinari per la difesa del suolo drasticamente tagliati anche nell’ultima finanziaria;
  4. Garantire l’interdisciplinarietà nella progettazione delle misure e degli interventi di difesa del suolo: la solo ingegneria idraulica, infatti, è totalmente insufficiente ed è necessario progettare anche con competenze di idrogeologia, ecologia, scienze forestali, pianificazione….
  5. Avviare un’azione diffusa di rinaturazione del territorio –come sta avvenendo nei più grandi bacini europei come la Loira, il Reno, il Danubio, la Drava… - basata sul recupero della capacità di ritenzione delle acque in montagna (rimboschimenti, governo delle foreste sostenibile) e sul recupero delle aree di esondazione naturale in pianura (ampliamento delle aree golenali, ripristino e ricostruzione zone umide….)
Queste cinque azioni se portate avanti in modo serio possono contribuire ridurre drasticamente il rischio idraulico in Italia.
Qui i Comuni infatti continuano a costruire o a prevedere urbanizzazioni nelle naturali aree di esondazione dei fiumi togliendo lo spazio vitale alle acque. S’impermeabilizza il territorio e l’alveo dei corsi d’acqua viene ristretto e canalizzato, spesso, fin dalle sorgenti; la vegetazione ripariale, che difende le sponde dall’erosione e rallenta la furia delle acque, viene regolarmente tagliata; i boschi in montagna non sono governati, ma sono abbandonati o sfruttati all’eccesso perdendo l’importante capacità di trattenere le acque nel terreno.

Il WWF Italia quest’anno ha avviato una campagna “Liberafiumi” dalla quale è purtroppo emerso un quadro allarmante: vi sono tratti di fiumi in gran parte canalizzati e tra questi il Lambro e il Seveso che ancora una volta hanno messo in ginocchio interi quartieri di Milano (la città dell’EXPO), piuttosto che l’Oreto in Sicilia, o il Sangro in Abruzzo.

Molti corsi d’acqua sono sbarrati o interrotti come l’Agri in Basilicata nel quale in pochi chilometri sono presenti 74 tra briglie e sbarramenti. Ma anche l’Adda, il Tevere e il Po stesso presentano tratti canalizzati anche in zone non urbanizzate, dove il fiume potrebbe espandersi e distribuire la propria energia, evitando di farlo all’interno dei centri abitati.

Il Chiese, in Lombardia, ha allagato vari centri abitati, costringendo la popolazione a lasciare le case; ma una delle poche valvole di sfogo di quel fiume è un’Oasi del WWF, la riserva naturale Le Bine (MN) , dove una zona umida posta in un’ampia zona golenale dell’Oglio – poche centinaia di metri a valle dell’entrata del Chiese in Oglio - consente al fiume di espandersi naturalmente e riducendo la forza.

Lo stesso avviene in altre due zone gestite dal WWF tra S.Giuliano Milanese e Melegnano, dove il Lambro può trovare un po’ di naturale sfogo e, quindi, a ridurre eventuali danni nei centri abitati che attraversa.

Purtroppo stiamo anche pagando il conflitto tra Stato e Regioni sulle competenze sulla difesa del suolo che paralizza l’applicazione corretta delle direttive europee che dovrebbero garantire sicurezza e tutela delle acque (dir 2000/60/CE “Acque”, 2007/60/CE “Rischio alluvionale”).

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