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Immagine tratta da Sapere n. 848 - giugno/agosto 1982 |
Le riflessioni che seguono nascono dai resoconti diffusi in questi giorni dal gruppo Sinistra e Ambiente di Meda, di cui utilizziamo anche alcune foto, e ripercorrono i contenuti emersi in occasione del 49° anniversario del disastro diossina a Seveso.
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Il 10 luglio 2025, Seveso ha ricordato il 49° anniversario del disastro della diossina dell’ICMESA di Meda, quando una nube tossica cambiò per sempre il volto e la storia della città. Ma come da tradizione degli ultimi anni, la commemorazione non è stata soltanto un rituale rivolto al passato: gruppi ambientalisti, liste civiche e associazioni hanno intrecciato il ricordo con una riflessione sulle minacce ambientali del presente, per ribadire che la memoria non può essere ridotta a una celebrazione sterile, ma deve diventare uno strumento per non ripetere gli errori.
È questo lo spirito che ha animato l’iniziativa di Seveso Futura, “(attra)VERSO IL 10 LUGLIO”, tenutasi pochi giorni prima, dove - nonostante il maltempo avesse impedito la visita narrante al Bosco delle Querce - la serata ha offerto contenuti intensi. Alberto Colombo, attivista di Sinistra e Ambiente di Meda, insieme a Emanuela Macelloni, sociologa impegnata nel progetto FARE, hanno ripercorso la storia del Bosco delle Querce e le pratiche socio-ecologiche che lo tutelano. Durante l’incontro è stato proiettato anche il documentario “Seveso 45”, realizzato dai giovani della Scuola di Formazione Politica Alisei, segno concreto di come la memoria possa coinvolgere nuove generazioni.
Non si è trattato, però, solo di uno sguardo al passato. Alla cittadinanza e alla stampa è stata illustrata la minaccia incombente sulla stessa area che, proprio a seguito del disastro del 1976, era stata bonificata e trasformata in parco. Oggi il Bosco delle Querce rischia infatti lo sbancamento di due ettari, con l’abbattimento di oltre 3.200 alberi, per far posto al tracciato della Pedemontana Lombarda, una delle grandi infrastrutture viabilistiche lombarde. Come hanno ricordato gli attivisti, la memoria del disastro del 1976 deve servire anche a vigilare sulle scelte presenti: «La Memoria comporta anche lo sguardo sul presente.»
Da sinistra: Sergio Astori, Christine Stufferin, Graziano Lucchi e Marzio Marzorati |
Questa tensione fra passato e futuro è stata il cuore anche dell’incontro pubblico “Seveso incontra Stava”, svoltosi proprio il 10 luglio. La serata, promossa da FARE e Legambiente Circolo Laura Conti, ha messo a confronto due comunità segnate da tragedie ambientali: Seveso e Stava. Quest’ultima fu teatro, il 19 luglio 1985, di un disastro causato dal crollo dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel, che riversarono 180.000 metri cubi di fanghi sull’abitato, provocando 268 morti. Come hanno spiegato Christine Stufferin e Marzio Marzorati della Fondazione Alexander Langer, e Graziano Lucchi della Fondazione Stava 1985, «Stava non fu una fatalità», ma il risultato di una lunga catena di errori, incuria, risparmi sulla sicurezza, mancati controlli e autorizzazioni concesse con leggerezza. E proprio come Seveso, Stava dimostra che non esiste tragedia “casuale” quando la corsa al profitto prevale sulla tutela dell’ambiente e della vita umana.
Ancora una volta è risuonato il pensiero di Alexander Langer, che invocava un’inversione di rotta dalla società del “di più” verso quella del “può bastare”, affinché si passi da una cultura dell’illimitato a una cultura del rispetto dei limiti. È una riflessione che tocca non solo il passato, ma anche la cronaca più attuale, perché - come hanno sottolineato i relatori - «bisogna invertire la corsa autodistruttiva, praticando i limiti.»
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Alessia Borroni e Luca Santambrogio, rispettivamente sindaci di Seveso e Meda |
Tuttavia, questa volontà di tenere viva la memoria non sempre incontra il favore delle istituzioni. L’amministrazione comunale di Seveso, guidata dalla sindaca Alessia Borroni, ha infatti espresso riserve verso chi, in occasione dell’anniversario, insiste nel ricordare il disastro «solo e sempre in senso negativo, facendo terrorismo». La sindaca ha dichiarato che il 10 luglio 1976 dovrebbe essere ricordato anche come «data di inizio di un percorso di rinascita» e ha perfino sostenuto che occorrerebbe «dire grazie a Pedemontana e Regione Lombardia» per la bonifica dei terreni contaminati, definendo inevitabile la realizzazione dell’autostrada. Una posizione che, per i gruppi ambientalisti, rappresenta un vero «ribaltamento della realtà», in cui si omette il prezzo pagato in termini di nuovi tagli di alberi, consumo di suolo e danni al fragile equilibrio ambientale ricostruito dopo il disastro.
Di fronte a questi contrasti, la comunità ambientalista insiste: la memoria non è nostalgia, ma responsabilità verso il futuro. Non si tratta, infatti, di rimanere prigionieri del dolore del 1976, ma di riconoscere che le stesse logiche di profitto e incuria che portarono alla nube di diossina o al crollo dei bacini di Stava, sono ancora vive e minacciano nuovamente il territorio. Ecco perché, come dichiarato durante gli incontri, «le celebrazioni non sono finalizzate a se stesse, ma guardano al futuro.»
Mentre Seveso si avvicina al 50° anniversario del disastro, il messaggio di questi giorni suona forte e chiaro: ricordare è un atto di vigilanza, un impegno a impedire che la storia si ripeta. Perché la memoria, se resta viva, può ancora salvare il futuro.
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