Tratto da: Gabriele Tardio, Fantocci nei rituali festivi, Edizioni SMiL, 2008
Inserito nel portale culturale www.mamoiada.org - Sezione "Maschere sarde ed europee"
Immagini: La Gibiana vista dai bambini di Briosco, 2024La Gibigiana o Giubiana, oppure con tutte le variazioni fonetiche e dialettali, è una festa tradizionale molto popolare nella zona piemontese e lombarda, con una più specifica presenza nella Brianza e nelle terre Comasche, Milanesi e Varesine.
Generalmente alla fine di gennaio, di solito l’ultimo giovedì del mese, nelle piazze si allestisce un grande falò dove viene issato e fatto bruciare un fantoccio di paglia vestito con degli stracci, che alcuni dichiarano che rappresenta i mali dell’anno trascorso e dell’inverno per propiziarsi un nuovo anno. In genere questa antica tradizione prevede un corteo festante che porta il grande fantoccio, destinato ad essere bruciato sulla pubblica piazza.
Gli studiosi generalmente dichiarano che si tratta di una cerimonia antica, ma sulle sue reali origini ci sono varie ipotesi. Per alcuni, il rito avrebbe anche una valenza “politica”, volendo vedere in esso una trasposizione allegorica del conflitto tra il popolo e il potere costituito spesso in forma tirannica; altri ancora vorrebbero riscontrare residui di riti celtici o antichi quando fantocci di vimini intrecciato erano dati alle fiamme dai sacerdoti per propiziarsi il favore degli dei in battaglia o per ottenere benevoli influssi nelle stagioni della semina e dei raccolti. Altri infine, attribuiscono gli attuali roghi di fantocci a quelli dei sacerdoti cristiani che fin dal IV secolo d.C. bruciavano sia simbolicamente che realmente le divinità pagane o simboli superstiziosi.
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L’etimologia del nome “Giubiana” ha diverse interpretazioni sia per quanto riguarda l’origine che il significato. Inoltre, esso varia a seconda delle località: Gibiana nella bassa Brianza, Giobbia in Piemonte, in molte zone del Varesotto viene chiamata Gioeubia, Zobia, Zobiana, Gioeubia, Giobbia, Gioebia, Giobbiana, Giubbiana, Gibiana.
Giöeubia, nell’alta Brianza e nella provincia di Como Giuliana, Giübiana, Gibiana, in Trentino e nel Bresciano generalmente è chiamata Zobiana.
Molti autori ipotizzano la derivazione di Giubiana da “Joviana”, ossia Giunone, dea della fertilità, oppure da Giove, padre degli dei, in latino “Jupiter-Jovis”, da cui l’aggettivo Giovia, e quindi Giobia. Nel dialetto piemontese "giobbia" significa semplicemente "giovedì".
Secondo Cherubini, autore di un vocabolario Milanese-Italiano pubblicato tra il 1839 e il 1843, “Giubiana” significa “fantasma”, e di qui la nascita di una festa.
Angelico Prati nel suo vocabolario etimologico italiano del 1951, dichiara che “Giubiana”, oltre a “fantasma”, significa anche “donna vile”; in trentino “Zobiana” equivale a “strega”, mentre in bresciano a “sgualdrina”. Per diversi autori c’è una derivazione comune: dal milanese “gioebia” o dal trentino “zobia”, ovvero “giovedì”, giorno utilizzato dalle streghe per i loro riti satanici.
Altri autori ipotizzano che la Giubiana può essere considerato simile alle altre figure antropomorfe arse tra gennaio e la Candelora, e che identificano nell'inverno e nella cattiva stagione, e il contadino inscenava una sorta di rito apotropaico, destinato a terminare con l'allontanamento simbolico del freddo e l'invito all’arrivo della bella stagione (qualcuno lo considera uno dei tanti rituali di roghi legati alle feste del Carnevale). Per qualcuno il rito che prevede la bruciatura del pupazzo della Giubiana potrebbe essere interpretato addirittura come l'eco di antiche pratiche legate ai sacrifici ignei di uomini, ma l'accostamento è sarebbe troppo difficile da dimostrare e troverebbe nei fantocci posti sulla catasta e nel lancio di oggetti tra le fiamme, una sorta di continuazione di quelle cruenti pratiche sacrificali. Alcuni accostano quel fantoccio arso nelle piazze ad una figura leggendarie, ma anche storica: la strega. Un supporto a questa credenza si ha con lo studio sui dialetti. Gian Luigi Beccaria, che nel suo libro "I nomi del mondo", chiarisce che "il nome italiano è Gibigiana, voce di origine lombarda (giubiana = fantasma, significa anche riverbero), dove gianna, strega, viene dal nome della dea Diana che in tanti dialetti sopravvive col senso di fata o strega". In molte tradizioni popolari la Giubiana ha assunto i toni della strega vera e propria, ed è spesso descritta nelle leggende come una vecchia cattiva, malefica che mangia i bambini o li rapisce, gioca a carte con i morti. Tra le sue prerogative, avrebbe una gamba rossa e un naso ricurvo. Spesso è una strega magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse, che vive nei boschi e, proprio grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini.
La Gibigiana, Gibiana o Giubiana oppure tutti gli altri termini già ricordati ha, quindi, man mano conquistato un aspetto e una propria storia che varia da località a località.
Ai giorni nostri, la Gibigiana è diventata un’occasione per incontrarsi, fare festa ammirare i fuochi d’artificio e mangiare qualcosa in compagnia, magari il risotto con la luganiga, come prescrive la tradizione.
Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui si attua. Sarebbe troppo lungo citare tutti i centri e le borgate dove si innalzano i roghi e quindi solo per farne alcuni: Albavilla (CO); Barzago (LC); Besana Brianza (MI); Briosco (MI); Busto Arsizio (VA); Cantù (CO); Canzo (CO); Cardano al Campo (VA); Carnago (VA); Carugo (CO); Cassano Magnago (VA); Castellanza (VA); Castiglione Olona; Copreno fraz. di Lentate sul Seveso (MI); Gallarate (VA); Garbagnate Milanese (MI); Gorla Maggiore (VA); Lesmo (MI); Misinto (MI); Montesolaro fraz. di Carimate; Rescaldina (MI); Samarate (VA); Triuggio (MI); Varenna (LC); Veduggio con Colzano (MI); Viganò (LC).
A Cantù con la Giubiana si bruciano “i mali della città e i vizi dei suoi cittadini”, che, insieme alle autorità, assistono al rogo. Qui il fantoccio che viene arso rappresenta la leggenda di una bellissima giovane castellana che, la notte di un giovedì di gennaio di oltre settecento anni fa, bussò a uno degli ingressi del borgo di Canturio facendosi consegnare con l’inganno le chiavi della città, così da poter aprire i pesanti battenti della porta ai Visconti che conquistarono il paese.
A Giussano la Giubiana, allegoricamente moglie di Gennaio, viene simbolicamente bruciata per dimenticare ed allontanare le carestie invernali e al contempo sancire l'inizio di un nuovo periodo di abbondanze. Storicamente la Giubiana veniva accompagnata nel suo cammino da un corteo di ragazzi che scandivano il tempo percuotendo pentole e stoviglie. La stessa sfilata del corteo storico, a cui ogni anno è lasciata libera interpretazione, si ripete anche oggi ed è rappresentata da 5 Giubiane, una per ogni frazione del paese, alle quali verrà dato poi fuoco al termine della manifestazione.
A Canzo la Giubiana è sottoposta ad un processo in dialetto canzese con la sentenza di morte sul rogo da parte dei Regiuu, ovvero gli anziani autorevoli del paese, e altri personaggi simbolici. La festa è arricchita da vesti tradizionali, suggestivi addobbi, tra cui la gamba russa (rossa), paramenti a lutto e suono di tamburi.
In molte zone del Varesotto viene bruciata l’ultimo giovedì (a volte l'ultima domenica) di Gennaio. Si costruiva con paglia e stracci un fantoccio e lo si portava nella piazza del paese a suon di campanacci. All’imbrunire veniva bruciata tra canti e balli. Girare tre volte attorno al falò portava bene. A Solbiate Olona alle ore 21 viene acceso il falò. Grandi e piccini attaccano alle vesti della strega o buttano nel falò bigliettini con scritto le cose brutte capitate durante l’anno perché il fuoco le distrugga.
In provincia di Como ad Albavilla si svolge il rito della Giubiana, che consiste nel bruciare su una pira preparata giorni prima un fantoccio fatto di stracci e bastoni tutto addobbato, è un rito propiziatorio simbolo dell'inverno. Prima di essere messo al rogo il pupazzo, dalle sembianze di donna, viene portato in giro per il paese da un fragoroso corteo. Da alcuni decenni il corteo è composto anche da alcuni carri allegorici, da un gruppo folcloristico e dalla banda. Durante la serata viene servito del risotto e del vin brulè.
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I meravigliosi manifesti sono stati realizzati dai
bambini e dalle maestre di Briosco. Questa tradizione risale a più di
trent'anni fa. Grazie alla collaborazione tra la cooperativa sociale EOS
di Carate Brianza e il Museo d'Arte dei Bambini Hamada di Shimane,
Giappone, i manifesti delle passate edizioni sono stati esposti durante
la mostra internazionale "Indépendants".
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La Giobia che si brucia l’ultimo giovedì di gennaio a Busto Arsizio ha una storia anticha. Era una sorta di esorcismo dell'inverno, nel periodo più difficile. Luigi Giovini sostiene che «si brucia un fantoccio di aspetto femminile perché quella ligure antica, pre-celtica, era una società largamente imperniata sul matriarcato, e che adorava divinità femminili come la Madre Terra o la Luna. Nel cuore dell'inverno, per scacciare il freddo e ridare vigore alla fertilità dei suoli, si “fecondava” la terra con il fuoco purificatore. Agli déi antichi si offrivano sacrifici anche di sangue, che un tempo potevano essere umani, in seguito animali». Una duplicità che ritroviamo nel ritratto di Giano bifronte poi rimpiazzato dal Giove greco-romano che dà il nome al giorno della settimana in cui si brucia la Giöbia, aggiunge Giavini. Il fantoccio, simbolo femminile, brucia in un giorno dedicato alla divinità maschile per eccellenza; ma anche nell'ultimo giovedì di gennaio, giorno "femminile" tradizionalmente chiamato ul dì di scenén. In questo giorno di sabba e di... matriarcato erano le donne a comandare, sottolinea Giavini, mentre gli uomini cantavano filastrocche minacciose e facevano trovare macabre sorprese giù per il camino, ricordo forse di una passata “litigata coniugale” di dimensioni tali da sovvertire una cultura da prevalentemente femminile a maschile. Era uso di ogni famiglia, di ogni cortile, preparare la propria Giöbia. E tutti si arrabattavano con quel che si trovava, dalle cassette di legno a vecchie scope, stracci e spago. Così Giovini aggiunge «Per portare fortuna il fantoccio deve cadere in avanti, così vuole la tradizione. E c'era una vera gara a chi faceva durare di più il fuoco, la Giöbia che durava più a lungo dava prestigio a chi l'aveva costruita. Finito il rogo, sulle braci appena raffreddate si facevano passare gli animali, una sorta di benedizione pagana, poi le ceneri andavano sparse sui campi per fecondarli in vista della ripresa primaverile». Oggi la tradizione è leggermente cambiata. Si vedono anche Giöbie di foggia strana «È buon segno che si facciano fantocci di forme diverse, vuol dire che la tradizione è viva e si adatta ai tempi, restando sempre nuova».