mercoledì 26 novembre 2025

I martiri di Basovizza chiedono giustizia nella toponomastica di Seregno

Il post che abbiamo pubblicato ieri, 25 novembre 2025, ci ha spinto a tornare su una delle pagine più oscure della nostra storia: le fucilazioni di Trieste del settembre 1930, quattro condanne capitali decise dal Tribunale Speciale di cui Ivo Oliveti faceva parte. Approfondire quei fatti significa capire meglio perché quel nome, ancora oggi sulle targhe di Seregno, non può essere considerato neutrale.

I quattro partigiani fucilati a Basovizza il 6 dicembre 1930. Fonte: Patria indipendente, 19 dicembre 2010.

A volte la memoria si illumina da sola: basta accostare due immagini, due gesti, due momenti di storia che sembrano lontani e invece parlano la stessa lingua.

Da una parte, le pagine nere del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, dove tra il 1928 e il 1935 sedeva anche Ivo Oliveti, non magistrato ma uomo di fede fascista scelto proprio per questo. Le carte, studiate da storici, parlano chiaro: in quegli anni Oliveti partecipò a numerose sentenze di condanna contro dissidenti antifascisti, comprese condanne a morte.

Tra queste, le più note sono quelle del settembre 1930, quando vennero fucilati quattro giovani antifascisti sloveni e croati:

  • Ferdo Bidovec
  • Alojzij Valenčič
  • Fran Marušič
  • Zvonimir Miloš

Erano gli anni bui della repressione al confine orientale: italianizzazione forzata, persecuzioni delle minoranze, violenza di Stato. I quattro – poi ricordati come i Bazoviški junaki, gli Eroi di Bazovica – avevano partecipato a un attentato al giornale fascista “Il Popolo di Trieste”, un gesto estremo nato dentro un contesto di oppressione sistematica. Furono processati dal Tribunale Speciale e giustiziati all’alba al poligono di tiro di Basovizza.

In Slovenia e in tutta l’area del confine, il loro ricordo è diventato da allora simbolo di resistenza antifascista. Un monumento, eretto dalle associazioni locali, ne custodisce la memoria. Ogni anno si celebra una cerimonia: perché quelle morti non furono un incidente della storia, ma un monito.


E quel monumento, nel 2020, ha ospitato una delle immagini più belle della storia repubblicana recente:
Trieste, 13 luglio 2020. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente della Slovenia Borut Pahor si tengono per mano davanti al monumento ai caduti sloveni di Basovizza.

Un gesto semplice, un gesto enorme.
Un gesto che dice: riconosciamo il dolore, condanniamo il fascismo, onoriamo chi ha combattuto per la libertà.

E non è stato un episodio isolato. Già nel 1997, il Presidente Oscar Luigi Scalfaro, primo capo di Stato italiano in visita ufficiale in Etiopia, aveva chiesto scusa – a nome di tutta la Repubblica – per la guerra coloniale fascista, per i bombardamenti con iprite, per le atrocità commesse.

La storia è questa:

  • Scalfaro chiede scusa per l’aggressione coloniale;
  • Napolitano rende omaggio in Africa alle vittime dell’espansione fascista;
  • Mattarella si reca a Basovizza e onora gli antifascisti giustiziati dal Tribunale Speciale a cui partecipò Oliveti.

E allora la domanda è inevitabile:
se tre Presidenti della Repubblica hanno saputo prendere posizione con questa chiarezza, perché non dovrebbe farlo il Comune di Seregno?

Perché mai dovremmo continuare a tenere nelle nostre strade il nome di un uomo che fu protagonista di quella repressione?
Perché mai dovremmo perpetuare un’intitolazione nata negli anni Trenta, nel pieno della propaganda fascista, per esaltare un regime che i nostri Presidenti hanno condannato senza esitazioni?

Non è questione di giudicare persone lontane nel tempo: è questione di scegliere cosa vogliamo ricordare oggi.
È questione di coerenza con i valori costituzionali.
È questione di rispetto verso chi ha subito violenza, coloniale e politica.
È questione di civiltà.

Se i Presidenti della Repubblica, massima espressione dell’unità nazionale, hanno saputo chinare il capo davanti ai caduti di Basovizza e davanti alle vittime dell’Etiopia, Seregno può – anzi deve – fare la sua parte.

Cambiare il nome di quella via non riscriverà la storia, ma dirà una cosa semplice e fondamentale:
noi scegliamo di stare dalla parte delle vittime, non dei persecutori.

Ed è ora che questa scelta venga finalmente compiuta.

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