martedì 4 settembre 2012

Sirtori: Mick Jagger, Keith Richards & Co. in salsa brianzola


Sabato 8 settembre 2012 alle ore 21.30 nella suggestiva cornice del Parco regionale del Curone a Villa Tre Tetti in Sirtori (LC) - Via Belvedere 39, nell’ambito della rassegna musicale “I Concerti di Villa Tre Tetti” sarà presentato l’ultimo lavoro di Renato Ornaghi: Comè on Sass Borlant, sedici canzoni che hanno fatto la storia dei The Rolling Stones, tradotte ed eseguite in quella serata rigorosamente in lengua mader. L’ingresso è gratuito.

L’ambientazione in Villa Tre Tetti, location che sta progressivamente diventando il punto di riferimento per una multiforme serie di eventi artistici e culturali, prevede la proiezione di oltre mille fotografie dei Rolling Stones su una parete viva e tridimensionale di foglie rampicanti, al fine di movimentare in maniera ancora più coinvolgente la serata.

L’occasione offerta è d’altra parte più unica che rara: nel 1962, 50 anni fa, la rock band The Rolling Stones eseguiva a Londra il suo primissimo concerto pubblico presso il Marquee Club, “indossando” quel nome storico (tratto da una canzone di Muddy Waters). Un nome che sarebbe divenuto nel tempo il marchio della più longeva band della storia del rock: autentica pietra miliare nell'evoluzione della musica pop-rock del ‘900, che ha portato sotto i riflettori del mondo il malcontento e la protesta di intere generazioni.

Per informazioni: opificiomonzese@virgilio.it


Comè on Sass Borlant
The Rolling Stones in the Brianza County
di Renato Ornaghi

Con logica hegeliana, dopo la tesi Beatles ecco l’antitesi Rolling Stones, puntando sempre all’unica possibile sintesi: la lengua mader. Nero contro bianco, rosso contro verde: se la trasposizione linguistica dei Fab Four aveva disegnato l’età dell’oro del Brianzashire, gli immaginifici Anni ’60 nei quali tutto pareva possibile e realizzabile, i laidi e cattivi Rolling Stones ci obbligano invece a guardare in faccia l’età della pietra in cui è piombata la Brianza d’oggi, in questo momento carico di dubbi, di incertezze e spread a mille, vera valle di lacrime che sta sottoponendo i suoi poveri indigeni a durissimi sbandamenti identitari.
Eccovi qui dunque Mick Jagger, Keith Richards & Co. in salsa brianzola a rappresentarci la terra presente con tinte rock sovente dure e tenebrose, fornendocene un ritratto affilato come il distorto riff di chitarra di I can get no satisfaction. Canzone davvero iconica e simbolica questa, che in lingua brianzola muta in I can vecc no se desfescen: un accorato appello contro l’estinzione dell’esprit de Briance, e cioè delle persone, delle idee e delle cose vecchie che - solo perché tali - non hanno più modo di essere nella schizofrenica Brianza di oggi.
Appare proprio una cupa alchimia delle sette note, questa rilettura dei Rolling Stones messi a “rotolare” nella Brianza County. I Sass Borlant ci inducono a posare lo sguardo sulle nostre tare, sulle nevrotiche schizzate idiosincrasie di questo terzo millennio, dentro una terra che non è già più isola felice e che si sta rassegnando a diventare un antico armadio in legno, colmo di bei ricordi, ma roso dai tarli della modernità.
Tantissimo della Brianza televisivizzata odierna si ritrova in queste canzoni voltaa in lengua: i tradimenti di coppia da telenovela (Angie / L’è in gir), l’incomunicabilità tra generazioni (Get off of my cloud / Va fora di ball), gli abbandoni dolorosi (Wild horses / Cavaj liber), la depressione (Paint it black / Fosch in Lecch), la crisi (Street fighting man / Lombard in strada), il meretricio stradale (Route 66 / Statal 36), i tic caratteriali del genere femminile (Honky tonk women / Donn cont la luna - Brown sugar / Braun, sciora!), il gioco drogato e compulsivo alle slot machines del genere maschile (Tumblin’ dice / Macchinett).
Giunto allora al capolinea, questo Brianzashire contagiato dalla febbre malarica degli spread? Forse non è ancora del tutto detto: ci rimane ancora una speranza, che - così come gli stessi ormai semi-secolari Rolling Stones - è sempre l’ultima a morire. Qualche barlume di luce su questo lembo di Insubria arriva ancora dalla vitalità dell’amicizia vera (The last time / Muntain baic) e dall’amore, anche se oggi spesso consumato in modo troppo veloce e carnale (Passemm la nott insema / Let’s spend the night together - Start me up / Pizzem sù).
Però, alla fin fine, la salvezza di questa terra è altrove: la stella polare che i Rolling Stones ci indicano per non smarrirci del tutto nei labirinti del terzo millennio sta proprio nel loro simbolo: la lengua. Vale a dire nella difesa a oltranza di un idioma, rimasto ultimo baluardo di una gente precipitata così male e a capofitto nel mondo globalizzato, per la quale le sobrie scampagnate di Pasquetta sul lago di Pusiano o in riva al Segrino sono state rapidamente soppiantate (con atroce e agghiacciante nonchalance) dai canonici sette giorni di vacanza all-inclusive a Sharm, o a Tenerife.
E dunque: tiremm fora la lengua! Solo quella ci potrà salvare, solo con essa il tempo sarà e rimarrà ancora dalla nostra parte. Ostinarsi a parlarla e - perché no - anche a scriverla e cantarla è quindi la ricetta proposta con queste canzoni, amici brianzoli e insubri: per non perdere del tutto la bussola, per continuare a vivere questo presente sempre più velocizzato non ripiegandoci in un passato ormai morto e sepolto, ma lanciandoci invece con orgoglio a costruire la nostra futura identità brianzola, sempre tenaci, forti e inarrestabili comè sass borlant.

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