martedì 25 novembre 2025

È ora di dire basta: Seregno non può continuare a onorare chi la dignità umana l’ha calpestata

Mussolini appunta la medaglia d'oro al V.M. sul petto della figlia di Ivo Oliveti. L'Illustrazione Italiana, 5 aprile 1936

Ci sono nomi che pesano come pietre. Nomi che non andrebbero pronunciati se non per ricordare ciò che non deve più accadere. Eppure, a Seregno, nel quartiere Lazzaretto, questi nomi continuano a vivere sulle targhe stradali, mimetizzati nell’abitudine quotidiana, quasi innocui. Ma innocui non sono.

Cinque anni fa avevamo già raccontato la storia di via Oliveti, una strada dietro l’Abbazia Olivetana che molti, in buona fede, credono dedicata al complesso monastico. Ma la verità è un’altra, e non è una verità comoda.

Quella via porta il nome di Ivo Oliveti, aviatore fascista morto in Etiopia e decorato da Mussolini con la medaglia d’oro al valor militare. Una biografia che il regime aveva costruito con cura propagandistica, cementando il mito dell’eroe caduto per l’Impero. Ma i miti della dittatura, quando la si guarda negli occhi senza retorica, rivelano spesso un volto oscuro.

Oliveti, prima ancora delle imprese belliche, fu infatti giudice del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, l’organo repressivo che dal 1927 al 1943 stritolò oppositori, antifascisti, semplici sospettati. Un tribunale politico composto da magistrati e militi in camicia nera, molti dei quali provenienti dalle file degli squadristi.

Lo storico Mimmo Franzinelli – uno dei maggiori studiosi della giustizia fascista – lo cita più volte nel suo volume Il tribunale del duce. Non con toni celebrativi, ovviamente, ma negli elenchi dei responsabili di condanne capitali, persecuzioni, esecuzioni. Oliveti era tra i “duri”, tra quelli che sostenevano la pena di morte e che ebbero più volte la “soddisfazione” di decretarla.

Emblematica è la pagina scura delle fucilazioni di Trieste del settembre 1930: quattro condanne capitali, decise anche grazie a Oliveti. E mentre i condannati attendevano l’alba e i moschetti puntati al petto, i giudici trascorrevano la notte come se nulla fosse. L’informativa di polizia riportata da Franzinelli è agghiacciante: Cristini, presidente del Tribunale, passò quelle ore con una prostituta procurata da due colleghi. Uno di questi era proprio Ivo Oliveti.

Ed eccoci a oggi, 25 novembre 2025, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata che Seregno celebra con un programma ricco, necessario, urgente. Una giornata in cui si parla di rispetto, di dignità, di diritti calpestati, di cicatrici sulla pelle e nella vita. Una giornata che invita al coraggio di guardare in faccia tutte le forme di violenza, anche quelle che la Storia ha normalizzato.

E mentre sfogliamo il pieghevole delle iniziative comunali, l’occhio cade su un indirizzo:
Centro Antiviolenza White Mathilda – via Oliveti 17.

Via Oliveti.
Sì, proprio lui.
Proprio quel nome.
La via in cui si offre ascolto e protezione alle donne, porta il nome di un uomo che, secondo le fonti storiche, contribuì a procurarne una per “allietare” un giudice dopo aver firmato condanne a morte.
Un paradosso insopportabile, una dissonanza che ferisce.

Perché una città che condanna la violenza non può continuare a celebrarne – seppur inconsapevolmente – gli artefici.
Perché la toponomastica non è neutrale.
Perché ogni nome sulle nostre strade dice qualcosa di ciò che scegliamo di ricordare.

Oggi, proprio oggi, è evidente più che mai: è arrivato il tempo di cambiare il nome di via Oliveti.
Non per cancellare la storia, ma per smettere di onorare chi di quella storia rappresenta una pagina di brutalità.
Non per creare disagio ai residenti – un disagio minimo, una volta nella vita – ma per ristabilire un principio: nello spazio pubblico non si celebrano carnefici, nostalgie di dittatura, uomini che si fecero strumento di repressione e di violenza.

Cambiare quel nome è un atto di giustizia simbolica, civile, morale.
È un gesto che dice: abbiamo capito, abbiamo imparato, non tolleriamo più.
È un gesto che parla alle donne, agli antifascisti, a chi crede nella libertà, a chi rifiuta ogni violenza – fisica, politica, sociale.

Le targhe delle nostre strade devono raccontare chi vogliamo essere.
E noi vogliamo essere una comunità che la dignità la difende, non la oltraggia.


È tempo che quella via smetta di ricordare Ivo Oliveti.
È tempo che Seregno scelga di ricordare meglio.

Nessun commento:

Posta un commento

Invitiamo gentilmente chi utilizza questo spazio per i commenti a rimanere in tema con il contenuto del post e a mantenere un linguaggio rispettoso, anche quando le opinioni sono diverse. Si informa che non verranno pubblicati commenti contenenti promozioni commerciali.