mercoledì 6 agosto 2025

Dalla terra di Seveso alle terre del Seveso

Area umida al Fosso del Ronchetto, Seveso

di Damiano Di Simine, Coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia


Quella del Fosso del Ronchetto di Seveso è una piccola storia che merita di essere raccontata, quella con cui, 35 anni fa, un angolo dimenticato e mortificato del territorio di Seveso divenne l’inizio di un percorso di ritorno alla terra per un gruppo di (allora) giovani ambientalisti. Una storia che inizia con una richiesta di creazione di un’area naturalistica all’amministrazione sevesina, la quale aprì alla collaborazione con le associazioni ambientaliste per avviare, dal basso e con il supporto del volontariato, il riscatto di un’area boschiva minacciata dall’avanzare di strade ed edifici. 

Molte oasi naturali nascevano in varie parti d’Italia in quel periodo, ma il Fosso del Ronchetto custodiva un valore simbolico superiore al suo significato naturalistico, per quanto rilevante. Su quei pendii invasi dai rovi si stava ritrovando un contatto con la terra che a Seveso era stato negato dalla ricaduta della diossina contenuta nella nube tossica: si trattava di un evento ancora ben presente nei ricordi di chi scavava per mettere a dimora i nuovi alberelli o rimodellare il fondo degli stagni. Il significato di quei gesti non poteva non trasformarsi in esperienza condivisa, un dibattito, uno scambio che investiva l’intero rapporto di Seveso con la sua terra, inquinata e cementificata oltre ogni misura. Non poteva arrestarsi lì. Occorreva varcare un altro limite, quello del ricordo della recinzione gialla che, anni prima, aveva interdetto l’ingresso all’area più inquinata. Poco distante un altro bosco stava nascendo, sulle discariche e sui terreni scorticati per essere ripuliti dal veleno che li aveva impregnati. Quell’area, asetticamente ribattezzata ‘Bosco delle Querce’, restava uno spazio che molti e molte avrebbero voluto continuare a non vedere, era ancora la ‘zona A’ della violenza chimica che vi si era abbattuta un decennio prima. Non era semplice riappropriarsi di quella terra senza profanarla. Ripristinare il legame di quel luogo con la comunità a cui era appartenuto richiedeva la tessitura di una nuova narrazione, una trama consapevole e memore. Così dalle stesse donne e uomini che si erano occupati del recupero del Fosso del Ronchetto nasceva il progetto del ‘Ponte della Memoria’, un'immersione in profondità nella cronaca degli anni trascorsi, per strapparla al vuoto dell’oblio e riannodarla al ‘prima’ e al ‘dopo’, nella storia della comunità di Seveso. Un viaggio a ritroso, faticoso e doloroso, ma una premessa necessaria affinché il Bosco delle Querce potesse colmare il vuoto in cui era sorto, per essere vissuto e animato dalla comunità che fino a quel momento se ne era tenuta ben lontano.

Il Bosco delle Querce di Seveso e Meda

Fosso del Ronchetto e Bosco delle Querce sono due luoghi distinti ma uniti dal filo di una narrazione
, incarnatasi nell’esperienza delle persone che l’hanno animata, i volontari e le volontarie del circolo Legambiente naturalmente dedicato a Laura Conti, la più genuina narratrice del danno consumatosi a Seveso. La pratica di conservazione di una natura diventata residuale si è prestata a provocare domande sul rapporto tra una comunità e un territorio ferito, e a socializzarne le risposte: la cura del luogo è divenuta cura delle persone. Non è stato un caso se dagli attori di questa piccola storia siano scaturite altre iniziative di cura delle persone, come quella di Natur&-Onlus, che ha riscattato dalla decadenza dapprima il Portico Rustico di Villa Dho – per anni amato e conosciuto come Centro Ricreativo la Petitosa (1995-2020) e poi la Villa stessa (dal 2000 a oggi) per renderla spazio vitale di presa in carico del disagio giovanile.

Villa Dho, Altopiano di Seveso

Decenni dopo: il Fosso del Ronchetto, il Bosco delle Querce, e anche il Parco che circonda Villa Dho e che fu acquisito dal Comune di Seveso con una parte del risarcimento del danno ambientale, sono aree poste sotto la tutela di parchi regionali. Missione compiuta? In parte: ci sono nuove sfide che nel frattempo sono diventate mature. 
Il territorio continua a chiedere cura, perché la natura non si conserva se non ritrova le necessarie connessioni geografiche: la biodiversità reclama spazi entro cui esprimersi, e ancora una volta la parola Seveso ci viene in soccorso per una nuova narrazione. Non più il paese ma il torrente, anzi vogliamo chiamarlo fiume perché il Seveso è una impronta profonda e stabile nella geografia storica, visto che sulle sue sponde duemila anni fa i celti prima e i romani poi si insediarono per fondare Milano. 
Quella del Parco del Seveso è una grande sfida contemporanea. Nella storia recente, inquinato e fetido, il Seveso è stato nascosto agli sguardi e sigillato tra sponde sempre più anguste, o addirittura sepolto nel sottosuolo cittadino. Occorre reclamare il territorio del Seveso, la sua valle, per ripristinarvi la natura affinché diventi tessuto connettivo tra le oasi, i boschi, i parchi, le città. È urgente cominciare, anche se dopo oltre un secolo di oblio, i risultati richiederanno ben più di una generazione per poter essere apprezzati.

Nessun commento:

Posta un commento

Invitiamo gentilmente chi utilizza questo spazio per i commenti a rimanere in tema con il contenuto del post e a mantenere un linguaggio rispettoso, anche quando le opinioni sono diverse. Si informa che non verranno pubblicati commenti contenenti promozioni commerciali.