Per salvare Milano non serve il "Salva Milano".
Le critiche inascoltate sulla gestione urbanistica della città
di Enrico Fedrighini
Fra tutte le cose che il sindaco Beppe Sala ha detto e sta ripetendo sulle procedure urbanistiche milanesi, le inchieste e il “Salva Milano”, una sola mi pare politicamente significativa: “Io non ho visto una persona, in questi anni, alzare la mano e dire che c’è qualcosa che non va. Allora sono diventati tutti fenomeni adesso?”
Il sindaco ricorda male, come ho detto intervenendo sul tema in Consiglio comunale di Milano.
Primavera 2020: da poche settimane ero entrato nel Consiglio comunale di Milano, nel gruppo Milano Progressista, subentrando a Paolo Limonta. Eravamo quasi alla fine del primo mandato del sindaco Sala. Da pochi mesi era stato approvato il PGT. Fino a quel momento avevo operato nel Municipio 8, come assessore all'Ambiente e Territorio; e negli ultimi tempi avevo raccolto, in tale veste, le difficoltà di molti colleghi dei vari Municipi a seguire ed essere coinvolti su una serie di trasformazioni per le quali gli abitanti chiedevano informazioni che loro non erano in grado di fornire. Non parlo dei grandi progetti: parlo proprio delle densificazioni capillari sparse qua e là all'interno di cortili e ambiti già edificati.
Nel Municipio 8, i maggiori interventi riguardavano l'area ex Expo, parte della riqualificazione dell'ex Scalo Ferroviario Farini, e il nuovo quartiere City Life: ma questi sono procedimenti pubblici e trasparenti perchè nati da Accordi di Programma e Piani di intervento contrattati e definiti pubblicamente, nero su bianco, con la Giunta con il coinvolgimento di Municipio e votati dal Consiglio comunale. Magari fosse sempre così.
Ma negli incontri con altri colleghi di altri municipi emergeva invece, la "fatica" ad essere aggiornati, informati e poter informare i cittadini su una serie di interventi di nuova edificazione in ambiti più ridotti, capillari, in aree già fortemente urbanizzate. La sensazione era che la "rapidità" delle procedure autorizzative rappresentasse un valore prevalente rispetto ad ogni altra cosa.
Arrivato in Consiglio nella primavera 2020 elaboro quindi, come primo atto - in piena emergenza Covid - un Ordine del Giorno, presentato insieme al mio gruppo, con un obiettivo fondamentale: impedire che eccessive semplificazioni procedurali in materia urbanistica sfuggano al controllo pubblico, producendo trasformazioni e "densificazioni" non equilibrate sotto il profilo urbanistico (adeguamenti necessari dei servizi, verde, trasporti, ecc.), quindi a danno della città e degli abitanti vecchi e nuovi. Occorre evitare, come si legge nel testo, che "l‘attivazione di istituti vocati all’accelerazione dei procedimenti possano produrre una diminuzione, nell’ambito del medesimo procedimento, del livello di tutela di altri e ugualmente importanti interessi". Tutela degli interessi pubblici, appunto.
E in che modo? Rendendo sistematico, per ogni progetto, non un mero parere tecnico “di conformità rispetto al PGT vigente" da parte del Comune, bensì una “valutazione complessiva circa la coerenza del progetto rispetto ai contenuti, strategie generali e obiettivi per il governo del territorio della città, deliberati dal Consiglio comunale di Milano”, attraverso procedure di evidenza pubblica da attivare "in fase preliminare all’avvio del procedimento". Questo OdG viene votato e approvato dal Consiglio comunale di Milano con ampia maggioranza il 25 maggio 2020, ore 19,28. Questo accadeva cinque anni or sono. Per applicarlo, non occorreva una variante al PGT: era sufficiente raccogliere questo indirizzo del Consiglio comunale e renderlo operativo attraverso ordinari strumenti amministrativi (determine dirigenziali, circolari). Ma è stato ignorato, purtroppo. Fino ad oggi.
E le inchieste avviate, anzichè produrre un ripensamento ed un’assunzione di responsabilità politica (politica, ripeto: non del singolo funzionario, che ha seguito precise indicazioni di determine e circolari emanate dall’alto), hanno generato una “sindrome da accerchiamento”: Milano contro tutti. La pochezza della classe politica ha generato in Parlamento il c.d. “Salva Milano” che, nella prima versione licenziata alla Camera dei Deputati, estendeva la deregolamentazione urbanistica su scala nazionale; mentre ora al Senato si sta trasformando in quello che, inevitabilmente, sarà l’esito finale: un condono camuffato (n.b.: la parola “condono” non è traducibile in nessuna altra lingua europea, essendo un termine giuridicamente e linguisticamente inesistente, beati loro).
Credo che qualcosa cambierà con il nuovo PGT, come ho proposto da tempo; ma intanto le inchieste sono avviate ed avranno inevitabili conseguenze. Che si sarebbero potute evitare, raccogliendo quella proposta nella lontana primavera 2020.
Ritorno alla frase iniziale del sindaco, e alla morale di questa storia. Si può far parte di una maggioranza politica in tanti modi, assumendosi ovviamente i rischi conseguenti. Il Consiglio comunale, eletto dai cittadini, svolge funzioni di indirizzo che non possono essere ignorate. Le voci leali ma critiche rappresentano una ricchezza in ogni comunità politica (su tanti temi: urbanistica, progetto stadio, edilizia popolare, trasporto pubblico e mobilità), e la scelta di ignorare o dimenticare le voci critiche privilegiando invece chi dice sempre e solo “si”, comporta inevitabili rischi. Perché una voce critica può, magari, fare emergere in tempo utile possibili rischi e indicare possibili soluzioni. L'obbedienza cieca no.
A proposito: copio e incollo di seguito il link di un articolo pubblicato da La Notizia sull’intervento che ho svolto in Consiglio. Il silenzio di alcuni media testimonia che la sindrome da obbedienza è diffusa più di quanto sembri.
https://acrobat.adobe.com/id/urn:aaid:sc:EU:e1c7c8a6-b60f-4a22-b4b0-df7b3a9147d0
Nostro commento
La vicenda del “Salva Milano” non è solo un tema locale, ma una questione che riguarda tutti noi. Da un lato, c’è il modello urbanistico adottato dalla città, con le sue conseguenze sulla qualità della vita, sui servizi e sul consumo di suolo, dinamiche che potrebbero replicarsi ovunque. Dall’altro, c’è un tema politico più profondo e preoccupante: il potere ricattatorio di un sindaco che, forte della minaccia di dimissioni e del conseguente “tutti a casa”, impone la propria linea alla maggioranza. Un meccanismo che mina il dibattito democratico e trasforma il confronto politico in una semplice ratifica di decisioni già prese. Per questo motivo, la storia di Milano va letta con attenzione: perché parla anche del nostro futuro.
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