sabato 13 dicembre 2025

San Primo, la montagna che chiede futuro: cosa ci insegna il nuovo rapporto FAO


Il Monte San Primo, il più alto dei rilievi del Triangolo Lariano, è tornato al centro dell’attenzione. Non solo per il progetto — molto discusso — di nuovi impianti sciistici, ma perché il suo destino racconta qualcosa di più grande: come le montagne italiane stanno cambiando e come dovremmo cambiare con loro.

Da anni, sul San Primo la neve è sempre meno. Le stagioni si accorciano, l’inverno assomiglia sempre più a una lunga mezzastagione. Eppure qualcuno continua a immaginare un futuro fatto di tapis roulant e innevamento artificiale, mentre un fronte ampio di associazioni ambientaliste prova a ricordare l’evidenza: la montagna non è più la stessa.

Non è solo una battaglia locale. Lo conferma il recente rapporto della FAO, dedicato alle soluzioni per l’adattamento climatico nelle regioni montane. Un documento che parla di catene montuose lontane e vicine, dall’Himalaya alle Ande, ma che descrive con sorprendente precisione proprio ciò che sta accadendo sulle nostre Prealpi.

Per scaricare la pubblicazione cliccare qui.

Il rapporto FAO mostra un quadro chiaro: i cambiamenti climatici stanno alterando profondamente gli ecosistemi montani, con conseguenze su acqua, vegetazione, suoli e turismo. In particolare, alle quote moderate come quelle del San Primo, la neve è destinata a ridursi drasticamente nei prossimi decenni.

In questo contesto, investire ancora nel vecchio modello dello sci di massa rischia di essere — come scrivono gli esperti — un esempio di maladattamento: soluzioni costose che non rispondono alla crisi ma la amplificano.

Al contrario, i territori che scelgono di diversificare l’offerta, puntando su turismo non dipendente dalla neve, sulla tutela dei paesaggi e sulle attività outdoor tutto l’anno, stanno già mostrando una maggiore resilienza.

La pagina del rapporto FAO che analizza il caso del Parco del Gran Paradiso

Tra i casi analizzati dalla FAO c’è anche quello del Parco Nazionale del Gran Paradiso, dove allevatori, ricercatori e amministratori stanno lavorando insieme per capire come adattare la gestione dei pascoli alle nuove condizioni climatiche. Non investono più in infrastrutture rigide, ma in soluzioni flessibili: sistemi idrici migliorati, gestione attiva del territorio, percorsi condivisi con le comunità locali.

Sulle Prealpi — San Primo compreso — queste indicazioni valgono doppio. Qui non servono tappeti mobili e cannoni sparaneve, ma visioni capaci di interpretare la montagna che cambia.

Le associazioni ambientaliste che sono scese in campo non chiedono immobilismo. Al contrario, propongono un modello alternativo che coincide con le indicazioni della FAO: un turismo leggero, diffuso, tutto l’anno.

Un San Primo fatto di:

  • sentieri, percorsi didattici, itinerari naturalistici;
  • valorizzazione dei prati e delle antiche attività agro-pastorali;
  • salvaguardia paesaggistica e faunistica, anche tramite l'istituzione di un Parco di tutela;
  • recupero ambientale e tutela degli spazi aperti;
  • educazione al clima e alla biodiversità.

Un modo di vivere la montagna che ne rispetta i ritmi, e che può generare economia senza compromettere ciò che rende il San Primo unico: la sua natura.

Il San Primo oggi è un simbolo. Una piccola montagna che ci costringe a una domanda grande: vogliamo continuare a inseguire un passato che non tornerà, o vogliamo costruire un futuro resiliente?

Il rapporto FAO indica chiaramente la direzione: innovare, adattarsi, ascoltare le comunità, proteggere i paesaggi.
È un invito valido per le Alpi come per le nostre Prealpi. E il San Primo, con la sua bellezza e le sue fragilità, potrebbe diventare un modello positivo: un luogo dove il cambiamento climatico non diventa una condanna, ma una spinta a immaginare un nuovo modo di vivere la montagna.

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