Giuseppe Gani, nato il 16/08/1895 a Ioannina
Speranza Zaccar, nata il 17/10/1900 a Corfù
Regina Gani, nata il 7/12/1926 a Milano
Ester Gani, nata il 19/7/1928 a Milano
Alberto Gani, nato il 20/4/1934 a Milano
Speranza Zaccar, nata il 17/10/1900 a Corfù
Regina Gani, nata il 7/12/1926 a Milano
Ester Gani, nata il 19/7/1928 a Milano
Alberto Gani, nato il 20/4/1934 a Milano
Questa è la famiglia Gani, la cui storia dà la misura di quanto sia stata terribile la persecuzione razziale in Brianza; due giovani genitori e tre ragazzi che furono vittime della scelleratezza dei militi fascisti - italiani come loro - che li arrestarono e della denuncia di un delatore, cioè di un seregnese, di un brianzolo, di un abitante della terra dove credettero di trovare rifugio e protezione.
La prima residenza di Giuseppe Gani in Italia è registrata nel 1918 a Milano. Il 1° ottobre 1925 sposò Speranza Zaccar, anche lei ebrea di origini greche. Dalla loro unione nacquero tre figli, Regina, Ester ed Alberto. Dal 1934 abitavano in corso Vercelli 9. I Gani erano benestanti, Giuseppe era titolare di una ditta che si occupava di esportazione di tessuti.
Dopo l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, la vita della famiglia Gani si complicò. I figli furono emarginati da scuola. Regina, che frequentava il corrispondente delle attuali scuole medie presso il liceo Manzoni di Milano, venne espulsa dall’istituto con altri 64 studenti. I Gani furono costretti ad inoltrare domanda per poter rimanere in Italia (1939), per poter conservare personale di servizio “ariano” (1939 e 1941), perché avevano alle dipendenze una donna di servizio.
Successivamente la famiglia si trasferì a Seregno; per tutto il 1942 infatti la Trattoria con alloggio Umberto I di via Vittorio Emanuele – attuale corso del Popolo – denunciava (come prescriveva la normativa) la presenza di cinque ebrei di origine greca. A Seregno dal mese di aprile di quell’anno Giuseppe Gani fu soggetto al provvedimento di “internamento libero”; un telegramma del questore di Milano avvisava il podestà “Per ordine ministero giorno 12 corrente si presenterà costà ebreo greco Gani Giuseppe di Abramo. Predetto est internato per cui non può allontanarsi da cotesto comune senza preventiva autorizzazione ministero. Prego assicurare arrivo et disporre assidua efficace vigilanza”. Il 13 aprile il podestà Alessandro Silva rispondeva, confermando l’avvenuto “internamento” e assicurando di aver sottoposto “l’ebreo greco” ad efficace vigilanza, d’accordo coll’Arma dei Carabinieri Reali.
L’anno successivo la famiglia trovò rifugio presso la trancia Mazza, in via Milano, nei pressi della stazione. Da lì il padre raggiungeva in treno il capoluogo per curare per quanto ancora possibile i propri affari. Probabilmente a cavallo tra l’inverno 1943 e la primavera 1944, dalla casa di via Milano i Gani, per prudenza, cambiarono nascondiglio: la madre con i tre figli presso la famiglia Casati alla Ca’ Bianca, edificio di fronte all’ospedale cittadino, costituito da una cascina a due cortili chiusi, mentre Giuseppe trovò riparo in via Volta presso una delle figlie sposate del Casati. Il capofamiglia, Luigi Casati, era un contadino e antifascista convinto.
Il 10 febbraio 1944, le autorità fasciste sequestrarono l’appartamento milanese dei Gani con tutto ciò che vi era contenuto. Il 29 febbraio la Banca Commerciale italiana, ottemperando alle normative antiebraiche vigenti, denunciò la liquidità dei Gani depositata presso la sua sede. Il 16 giugno la questura di Milano decretò la confisca della casa e il 16 ottobre, epoca in cui i Gani erano già stati arrestati, vennero confiscati i depositi bancari, su decisione del capo della Provincia, con voltura a favore dello Stato.
Nell’agosto 1944, un mattino, un drappello di fascisti italiani accompagnati da un tedesco irruppe nell’abitazione dei Casati alla Ca’ Bianca ed arrestò Speranza, Regina, Ester ed Alberto. Di sicuro la delazione di un cittadino seregnese fu all’origine della spedizione. Giuseppe riuscì in un primo tempo a sfuggire alle ricerche ma prima di notte fu anch’egli catturato presso il Dosso.
Il 20 agosto i cinque componenti delle famiglia Gani entrarono nelle celle di San Vittore a Milano. Il 7 settembre vennero trasferiti nel campo di raccolta di Bolzano-Gries. Il 24 ottobre, sul convoglio n° 18 siglato RSHA (la sigla dell’istituzione delle SS deputata all’esecuzione dello sterminio in tutta Europa), partirono da Bolzano-Gries alla volta di Auschwitz. C’era un solo bambino su quel treno, Alberto Gani, di dieci anni. Per quattro giorni viaggiarono stipati come bestie e martoriati dalla sete. Il 28 ottobre era ancora notte quando il convoglio s’incanalò sul binario che entrava nel lager di Auschwitz. In una scena da incubo, fra guardie che urlavano e i cani che abbaiavano, i prigionieri vennero fatti scendere; il dottor Mengele o uno dei suoi collaboratori li aspettavano per la selezione. Giuseppe, Speranza e il piccolo Alberto vennero inviati immediatamente alle camere a gas. Ester e Regina furono fra le 59 persone che superarono la selezione, come rivelano i documenti tedeschi conservati nell’archivio del museo di Auschwitz. Furono destinate al lavoro da schiave o a qualche postribolo nazista. Finirono poi nel lager di Bergen Belsen, dove venivano concentrate soprattutto le donne, e dall’11 febbraio 1945, data dell’ultimo avvistamento da parte di un testimone, non se ne seppe più nulla.
Bibliografia
- Comitato Antifascista di Seregno (a cura di), Nel segno di Alberto Gani, Seregno 1999
- Pietro Arienti, Dalla Brianza ai lager del III Reich, Missaglia 2012
- Pietro Arienti, Sorvegliati speciali, Seregno 2014
- Chiara Ballabio e Zeno Celotto, Corti e contrade. Il borgo di Seregno dal XVI al XX secolo, Seregno 2017
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